Sciuscià 70, il documentario Nastro d'argento che celebra i settant'anni del capolavoro premio Oscar di Vittorio De Sica
Un film intramontabile e un capolavoro del nostro cinema, quello raccontato nel documentario di Mimmo Verdesca Sciuscià 70, che ripercorre coi testimoni e i protagonisti la genesi del film di Vittorio De Sica, primo Oscar italiano.

Nel 2016 il capolavoro neorealista di Vittorio De Sica, Sciuscià, compiva 70 anni. Per l’occasione il regista Mimmo Verdesca, grande appassionato e studioso di cinema classico, nonostante la giovane età (suoi In arte Lilia Silvi, Protagonisti per sempre e il bellissimo e recente Alida, sulla divina Valli), ha realizzato un documentario denso di memorie, testimonianze, aneddoti ed emozioni assolutamente imperdibile. Si intitola Sciuscià 70 e nel 2017 ha vinto il Nastro d’Argento speciale, proprio quello che riproduce il Nastrino del premio della prima edizione, andato appunto al film di De Sica. La perfetta chiusura del cerchio per un capolavoro del nostro cinema, per cui venne istituito addirittura un Oscar onorario, il primo in assoluto a premiare non solo un’opera italiana, ma un film non in lingua inglese, tornato di recente nei cinema nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna.
Sciuscià 70: un documentario diverso dal solito
I documentari sul cinema italiano, spesso premiati al di là dei loro meriti effettivi, sono in genere frutto di montaggio di materiale di repertorio – foto, filmati e cinegiornali – accompagnato o meno da una narrazione, e intercalato da interviste ad esperti e personaggi dell’ambiente (quasi sempre gli stessi). L’originalità e l’interesse dei film di Mimmo Verdesca, scritti e montati in prima persona, sta nella testimonianza diretta dei protagonisti o di persone a loro molto vicini e nella ricerca di uno sguardo diverso per parlare senza retorica e frasi scontate di attori, epoche e capisaldi della nostra cultura cinematografica. Non fa eccezione Sciuscià 70, che si avvale della contestualizzazione storica del professor Orio Caldiron, ma è essenzialmente incentrato sui ricordi, vividi, dell’allora piccolo coprotagonista, al fianco di Franco Interlenghi, Rinaldo Smordoni, che il 5 febbraio 2023 ha compiuto 90 anni e ne aveva 12 quando lo interpretò (scelse poi di non proseguire la carriera di attore e nella vita ha fatto il marmista e per 31 anni ha guidato l’autobus a Roma). E’ con lui che ripercorriamo i luoghi, a volte simili, spesso molto cambiati, in cui il film fu girato, con lui che ci commuoviamo ancora oggi che di anni ne sono passati 77. Per Vittorio De Sica parla, con molto spirito, una dei suoi discendenti e custode della sua memoria, Emi De Sica, somigliantissima al padre, che la ebbe dalla prima moglie Giuditta Rissone e che purtroppo ci ha lasciato nel 2021 a 83 anni. E poi c’è il nipote del coraggioso produttore di un film difficile da fare e da far accettare nell’Italia del secondo dopoguerra, che voleva solo dimenticare le sue miserie: Paolo William Tamburella, che ha lo stesso nome del nonno a cui andò l’Oscar, che lui ci mostra, assegnato al film. Tra le altre testimonianze, non manca nemmeno quella di Franco Interlenghi, già ammalato all’epoca delle riprese, in un’intervista (l’unica) non effettuata da Verdesca. Sicuramente, dopo aver visto questo documentario, ne saprete di più su Sciuscià, che vorrete rivedere alla luce di quanto ci hanno raccontato i protagonisti.
Sciuscià, un capolavoro senza tempo
Sciuscià, per i pochi che ancora non lo sapessero, è una parola inventata che deriva dalla pronuncia storpiata di “shoe shine”, lucidare le scarpe, e indica appunto i ragazzini, spesso senza famiglia e costretti a vivere per strada, che per tirare avanti spesso si arrangiavano con piccoli furti, oltre a tirare a lucido le calzature dei soldati americani. Vittorio De Sica aveva studiato e aveva davvero a cuore le condizioni di vita di questi ragazzi, spesso per piccole mancanze mandati in riformatorio se non addirittura in carcere, senza pietà e senza speranza di redenzione. L’idea del film era nata da un suo articolo/inchiesta, corredato da una serie di foto dei piccoli sciuscià, con l’aiuto di Cesare Zavattini, che seppe dare alla sceneggiatura quell’apporto empatico e non moralistico che voleva De Sica e che non lo aveva convinto nella prima stesura (accreditati per il copione del film oltre a Zavattini sono Cesare Giulio Viola, Sergio Amidei e Adolfo Franci).
Sciuscià è essenzialmente la storia del sogno di due ragazzini, stroncato da una società punitiva e violenta. Al centro ci sono due inseparabili amici, Giuseppe (Smordoni) e Pasquale (Interlenghi), che fanno i lustrascarpe a via Veneto e non appena possono corrono a villa Borghese per cavalcare Bersagliere, un cavallo bianco che intendono comprare. Quando ci riescono, messi di mezzo dal fratello di Giuseppe e coinvolti senza colpa in un furto, nonostante la loro giovanissima età vengono arrestati e mandati in riformatorio, dove resteranno vittime delle dinamiche di sopraffazione all’interno del luogo e tenteranno una fuga che si concluderà tragicamente. Al fianco dei ragazzi, tutti presi dalla strada, ci sono attori professionisti come Emilio Cigoli, Leo Garavaglia e Gino Saltamerenda. Sciuscià è un potente atto di accusa contro una società spietata coi più deboli e la descrizione di un’Italia dove proprio quelli che dovrebbero essere il futuro di un Paese che dovrà ricostruirsi vengono sacrificati. Straordinaria l’interpretazione dei due protagonisti, entrambi scelti tra centinaia di ragazzi e per la prima volta davanti alla macchina da presa, come lo è lo sguardo del regista che li dirige. In fondo, il film ci parla anche perché le cose non sono cambiate oggi, nel mondo, dove le prime vittime della guerra, della fame e dei regimi dittatoriali sono purtroppo ancora i bambini.