Beau ha paura: Joaquin Phoenix precipita in un buco nero da incubo nel nuovo film di Ari Aster
Debutta nei cinema italiani oggi, 27 aprile, distribuito da I Wonder Pictures, il terzo lungometraggio del regista, che dopo due dei più acclamati elevated horror degli ultimi anni presenta al pubblico una storia fuori da ogni schema, sospesa tra incubo, commedia nera, tragedia e psicanalisi.

Prima di diventare famoso in tutto il mondo nel 2018 con il suo primo lungometraggio, Hereditary, considerato unanimemente uno dei film che hanno dato la stura a quella nuova tendenza del cinema dell’orrore contemporaneo nota come “elevated horror”, uscito dalla scuola di cinema dell’American Film Institute Ari Aster ha diretto numerosi cortometraggi.
Uno di questi, nel 2011, fu The Strange Thing About the Johnsons, che poi è stato il suo corto di diploma, e divenne, come si suol dire, virale su internet. Lo si può vedere facilmente su YouTube.
Nello stesso anno Aster diresse un altro corto, che però, guarda caso, è praticamente l’unico che in questi giorni online non si trova più.
Si intitolava Beau, e raccontava la storia di un uomo un po’ paranoico (Billy Mayo, lo stesso protagonista di The Strange Thing About the Johnsons) che deve partire per andare a far visita alla madre ma che rimane bloccato in un un vero e proprio incubo a occhi aperti quando qualcuno ruba misteriosamente le sue chiavi di casa.
Vi ricorda qualcosa?
Nel corso delle numerose interviste rilasciate nel corso delle scorse settimane Ari Aster ha avuto modo di dichiarare che Beau ha paura, il suo nuovo e attesissimo film, nei cinema italiani dal 27 aprile con I Wonder Pictures nonché chiara espansione di quel corto del 2011, sarebbe potuto essere il suo film d’esordio, se solo il progetto non fosse così ambizioso da spaventare le produzioni.
E quindi sono dovuti passati dodici anni, qualche altro corto e due lungometraggi (dopo Hereditary Aster ha diretto un altro acclamato elevated horror, Midsommar) perché il regista coronasse questo suo sogno.
Pensato ai tempi più come qualcosa di vicino a una perversa parodia che non a un horror, e al gusto per la commeria nera dei primi corti di Astar, Beau ha paura, dopo Hereditary e dopo Midsommar, ha assunto sfumature più cupe e angosciose. Ma non per questo è un film che è facile incasellare in un genere codificato, capace com’è di alternare registri e ribaltare situazioni, passando dal patetico al comico, dall’angosciante all’onirico, dal tragico allo psicanalitico.
Un vero e proprio tour de force attraverso la fervida immaginazione di un autore che non si è censurato in alcun modo, né dal punto di vista della creazione né tantomeno da quello dell’espressione, capace di centrifugare e riproporre in forma nuova immaginari lynchiani e estetiche alla Michel Gondry, spolverando il tutto con un pizzico del Mammina cara con Faye Dunaway, e realizzando così un film che ha fatto dire a Martin Scorsese di essere “rimasto colpito dal suo linguaggio così unico e così originale. Il gusto per il rischio è così unico e potente e non ci sono molti registi che oggi siano in grado di farlo a questo livello”.
Per Aster - che cita come ispirazioni letterarie di Beau ha paura “i greci, Borges, Virgilio, Kafka, Sterne, Cervantes, Tennessee Williams”, e che del film ha parlato come di “un Signore degli Anelli ebreo” - era fondamentale, trovare un attore protagonista tanto bravo da essere capace di incarnare Beau Wasserman in tutta la sua complessità, e di reggere il tour de force fuori da ogni schema e convenzione che il copione gli avrebbe imposto. In cima alla lista delle sue preferenze, quello che riteneva essere il miglior attore al mondo, Joaquin Phoenix, reduce dall’Oscar di Joker e in procinto di interpretare Napoleone per Ridley Scott.
Aster non covava molte speranze di riuscire a interessare Phoenix, il quale però non solo ha accettato la parte, ma l’ha affrontata con una dedizione e una intensità tali da svenire sul set, una volta, nel corso di una scena, e di far dire a Aster che come attore Phoenix “è anche migliore di quanto credessi”, e di aver “costruito emotivamente” il film assieme a lui.
L’interpretazione di Phoenix e la regia di Aster hanno fatto di Beau ha paura un film nel quale lo spettatore precipita e si perde, facendo aderire sguardo e sentimenti a quelli dello spaventato e confuso e paradossalmente determinato protagonista.
Se con i suoi precedenti film si parla, in modi diversi, della fuga da dei traumi familiari, qui il trauma familiare del protagonista, il suo rapporto complicato e perverso con una madre castrante e ingombrante, rappresenta un polo d’attrazione in negativo irresistibile, e l’Odissea kafkiana del Beau di Phoenix può essere messa in parallelo con il precipitare sempre più veloce e inesorabile all’interno di un buco nero.
Un buco nero, questa Grande Madre che tutto divora, dentro al quale nessuno sa, esattamente, cosa si andrà a scoprire.