VistaVision, cos'è il formato usato in The Brutalist: la sua storia
The Brutalist di Brady Corbet con Adrien Brody è girato in pellicola... e non in modo qualsiasi. Utilizza un formato speciale, VistaVision, con settant'anni di età e un curriculum prestigioso, tra Hitchcock e Industrial Light & Magic.

- Ripresa in pellicola negli anni Cinquanta, piccola premessa storica e tecnica
- VistaVision, così lontano eppure così vicino ai nostri ricordi
- VistaVision, pochi anni ma intensi
- VistaVision, tra effetti visivi e The Brutalist
Tra le dieci nomination all'Oscar per The Brutalist di Brady Corbet, c'è anche quella alla migliore fotografia di Lol Crawley. Il suo lavoro ha una particolarità: il film è infatti girato in pellicola 35mm in formato VistaVision, che ha una storia illustre durata settant'anni, cominciata nell'epoca in cui il cinema aveva capito di dover fare i conti con la televisione. Non mancano negli ultimi anni i registi cinefili che predicano ancora l'uso della celluloide, come Steven Spielberg, Quentin Tarantino, Paul Thomas Anderson o Christopher Nolan, votato al formato gigante IMAX. Nessuno di loro però aveva ancora recuperato il VistaVision sul set. In cosa consiste?
Ripresa in pellicola negli anni Cinquanta, piccola premessa storica e tecnica
All'inizio degli anni 50 si era capito che il cinema doveva risolvere l'esplosione di popolarità di un nuovo mezzo: la televisione. Certo, aveva ancora dalla sua il colore (non in tutto il mondo e non per sempre), ma il "grande schermo" sembrava improvvisamente più piccolo e meno affascinante, per colpa della scatola accesa in salotto. Per contrastarla doveva essere effettivamente "grande", il che significava non solo aumentare l'ampiezza degli schermi di proiezione, ma anche ampliarne lo sguardo, con uno schermo allargato, non più quadrato come la tv, rettangolare. "Wide", avvolgente.
Facile a dirsi ma meno a farsi. A parte gli esperimenti risalenti già alla nascita del cinema, dalla fine degli anni Venti la Fox aveva provato a brevettare una sua ripresa in 70mm: con la pellicola grande il doppio del 35mm, e un'inquadratura naturalmente rettangolare, poteva essere una strada percorribile... ma era poco pratica. Costosa e ingombrante la ripresa (discorso che col 70mm vale in parte ancora oggi), difficile convertire le sale al suo supporto.
Quando nei Cinquanta rinnovarsi divenne urgente, si pensò di costruire nuovi formati a partire dal classico 35mm, con un po' di fantasia e creatività. Nella lotta tra le major, fu proprio la 20th Century Fox a spuntarla, perché il suo CinemaScope nel 1953 rivoluzionò l'industria e divenne uno standard: si riprendeva con la classica pellicola 35mm a scorrimento verticale, però con una lente anamorfica che "schiacciava" l'immagine. In proiezione, una lente di effetto contrario la "riapriva" e la stendeva, regalando una visuale molto rettangolare e panoramica. Tra i perdenti ci fu la Paramount, che giocò la carta del... VistaVision.
VistaVision, così lontano eppure così vicino ai nostri ricordi
Prima che il CinemaScope si affermasse, l'esperienza rettangolare widescreen era ottenuta più artigianalmente, con un mascherino che "croppava" (si direbbe oggi) l'inquadratura in ripresa e/o in proiezione. In altre parole, giravi di fatto nel quasi-4:3 del formato Academy (1.37:1), poi tagliavi una parte di immagine per ottenere 1.66:1, 1.85:1 e così via. Fattibile, ma c'era il problema della qualità. La tecnica del mascherino abbassava la resa dell'immagine, perché sacrificava una parte del negativo già piccolo di suo, circa 21x15mm nel formato Academy: non a caso la battaglia del widescreen fu vinta dal Cinemascope (con le sue filiazioni), perché sfruttava tutta la superficie disponibile sulla pellicola.
I tecnici della Paramount scelsero una strada diversa, aiutandosi con un po' di storia. Se non appartenete alla Generazione Z, avete probabilmente in famiglia scattato foto in pellicola 35mm, portando a svillupparne i rullini. Se avete mai guardato i negativi che vi venivano restituiti insieme alle stampe dei vostri ricordi, forse riuscite a richiamarne alla mente le dimensioni. Quello era il "formato Leica", 24x36mm a scorrimento orizzontale: si era diffuso negli anni Trenta ed era diventato via via lo standard più diffuso della fotografia, dai professionisti all'imbranato. Curiosamente, era nato come esperimento per un nuovo formato di ripresa cinematografica: sì, la fotografia in 35mm derivava dal cinema... e non viceversa! Da lì sgorgò l'idea del VistaVision, decenni dopo. Girare un film praticamente nel "formato Leica", a scorrimento orizzontale della pellicola, avrebbe dato un negativo di qualità doppia, senza bisogno di usare il 70mm.
La Paramount progettò e realizzò, oltre alle cineprese VistaVision, anche dei proiettori in grado di mostrare i film come erano stati girati, per un'esperienza di grandissimo formato, in rapporto di solito di 1.85:1. Non che fosse economico per gli esercenti adottare questi strani proiettori, ma poco male: ci si rese conto che le copie ridotte nelle normali versioni a 35mm, a scorrimento verticale con mascherino, risultavano comunque più nitide, arrivando da un negativo migliore.
VistaVision, pochi anni ma intensi
Il VistaVision è stato adottato per capisaldi del cinema. Alfred Hitchcock ci girò Caccia al ladro (1955), La congiura degli innocenti (1955), L'uomo che sapeva troppo (1956), La donna che visse due volte (1958) e Intrigo internazionale (1959). Se vi chiedete come mai remaster in 4K o 8K di questi capolavori siano così splendenti, ricordate che i restauratori sono stati aiutati da negativi eccellenti. Citiamo anche Riccardo III (1955) di e con Laurence Olivier, Alta società (1956, ultimo film di Grace Kelly), Hollywood o morte! (1956, ultimo della coppia Jerry Lewis-Dean Martin), I Dieci Comandamenti (1956) di Cecil B. De Mille, Guerra e Pace (1956) con Audrey Hepburn, solo per limitarci: si parla di un centinaio di titoli prodotti tra il 1954 e il 1961, tra il debutto con Bianco Natale e il sipario con I due volti della vendetta (unica regia di Marlon Brando).
Come mai il VistaVision fu dismesso? Nonostante la filiera del 35mm fosse più abbordabile di quella del 70mm, non si evitavano analoghe difficoltà. Il VistaVision consumava ovviamente il doppio della pellicola, rispetto alla ripresa in 35mm con un fotogramma di grandezza normale, il che implicava macchine da presa meno pratiche, più grandi, per riprendere la stessa quantità di minuti. Col tempo furono realizzate cineprese VistaVision più piccole e leggere (ma giocoforza con meno autonomia di ripresa), però fu la qualità crescente della pellicola 35mm a non valere più la spesa: a parte la diffusione del Cinemascope (che la Fox dava ormai in licenza anche alle major concorrenti), l'uso dei mascherini sul normale 35mm verticale garantiva ormai la stessa resa visiva, anche nelle copie. La Paramount gettò la spugna. Il cinema si assestò sulla ripresa anamorfica per l'immagine molto panoramica (2.35:1), e sui mascherini (1.66:1, 1.85:1) per le opere meno magniloquenti.
VistaVision, tra effetti visivi e The Brutalist
Dopo una quindicina d'anni di silenzio, il VistaVision fu recuperato in silenzio dietro le quinte, da quel manipolo di pionieri che agiva nell'Industrial Light & Magic della Lucasfilm, per il primo Guerre stellari (1977). È difficile spiegarne oggi il motivo, nel mondo del compositing via computer, dove si riprende in digitale, si importa, si combinano le immagini con altre sempre digitali, e si riesporta il tutto senza perdita di qualità. Dalla metà degli anni Settanta a i primi anni Dieci del Duemila, fino a quando Hollywood ha usato ancora la pellicola su larga scala, il compositing di riprese dal vero con altre riprese dal vero o animazioni si chiamava "fotomontaggio": chimico, brutto, sporco e cattivo. In parole poverissime, consisteva nel riprendere la stessa immagine più volte, aggiungendovi gli "strati" richiesti: nell'analogico a ogni passaggio c'era un degrado della qualità. L'unica maniera di arrivare a un'immagine finita di alta qualità era lavorare su negativi più grossi, senza smuovere la portaerei del 70mm. E si ricordarono delle cineprese VistaVision, seppellite nei depositi della Hollywood che fu. Oggigiorno c'è chi pensa che Chi ha incastrato Roger Rabbit sia frutto di un compositing digitale, per la qualità della resa finale: no, non nel 1988. Ringraziate il VistaVision e il nerdismo dei tecnici dell'ILM.
The Brutalist a sorpresa riapre adesso la lista delle lavorazioni VistaVision native, quando nemmeno per gli effetti visivi si usa più. Per abbracciare la grana della pellicola e il suo tessuto particolare, Corbet avrebbe potuto anche girare in 35mm canonico: non c'è stata infatti una vera necessità pratica. Come ha spiegato, Corbet voleva solo raccontare il secondo dopoguerra con una tecnica di ripresa dello stesso periodo. Vezzo, direbbe qualche detrattore; immersione totale, direbbero i cinefili più romantici.