Justice League: la recensione del cinecomic corale DC

15 novembre 2017
2.5 di 5
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La Warner spinge i suoi supereroi nel territorio della concorrenza.

Justice League: la recensione del cinecomic corale DC

Con Superman defunto e la minaccia di Steppenwolf e delle sue temibili armate aliene alle porte, Batman (Ben Affleck) sa di avere bisogno d'aiuto: se Wonder Woman (Gal Gadot) è facilmente arruolabile, se il nevrotico Barry Allen alias Flash (Ezra Miller) è in cerca d'amici, Aquaman (Jason Momoa) e Cyborg (Ray Fisher) saranno più difficili da convincere. Alla fine però nascerà la Justice League per opporsi a questa e a nuove minacce...

Justice League è il film della resa Warner Bros alla concorrenza Marvel Studios: L'uomo d'acciaio, Batman V Superman e Suicide Squad avevano cercato la strada di un'identità alternativa all'estetica concorrente, con maggiore cupezza e una minima ricerca di identificabilità (risultati a parte), mentre Justice League tira i remi in barca. Forse anche in virtù dell'intervento di Joss Whedon in sceneggiatura e (non accreditato) in regia, per sollevare Zack Snyder in un momento difficile della sua vita, assimilare questo film a un Avengers viene molto spontaneo. Non ce ne vogliano i fan DC, che staranno già imbracciando i forconi: non abbiamo la competenza per confrontare seriamente la produzione fumettistica Marvel con quella DC. Limitandosi tuttavia all'universo cinematografico, cercate di capirci, si fa fatica qui a trovare differenze di struttura: presentazione dei membri del gruppo, reclutamento, battute, minaccia coreografica-epica con cattivo un po' anonimo (almeno sullo schermo), che costringe gli eroi ad agire tutti insieme a dispetto delle differenze. In mezzo, lunghi e caotici combattimenti rutilanti in CGI, inframmezzati da interazioni tra i protagonisti per inquadrare delle personalità, ma sembra più per dovere che per necessità artistiche. Certo, fotografia e production design trasmettono una sensazione diversa rispetto al look più saturo e luminoso dei Marvel Studios, avvicinandosi più al registro impostato da Snyder a partire dall'Uomo d'Acciaio, però parliamo di superficie. Di fondo, le ambizioni sembrano timide. Il racconto si risolleva e guadagna una sua dimensione più caratterizzante verso la metà del film, in particolare grazie a uno dei personaggi più carismatici (e una scena molto riuscita). Siamo pronti inoltre a scommettere che molti preferiranno queste strade battute e ampiamente rodate alle ambizioni zoppicanti dei precedenti lungometraggi citati. Insomma, Justice League porta a casa il risultato, senza però più sforzarsi di cercare un carisma: forse è ingenuo scriverlo, però ogni tanto il processo alle intenzioni può essere salutare.

Se qualche mese fa Patty Jenkins non avesse scodellato a sorpresa Wonder Woman, che sopravvalutato o meno è una spanna sopra a questo Justice League, verrebbe pure da rassegnarsi. Eppure Wonder Woman ha dimostrato quanto sia importante, in un mercato traboccante di cinecomic fino all'asfissia, distinguersi per avere un senso. La Fox l'ha capito da tempo, tanto da adottare un genere diverso per ogni film: noir per Logan, grottesco per Deadpool, horror per il prossimo New Mutants. Lo stesso Wonder Woman era un film bellico con venature da commedia romantica, per non parlare di Spider-Man: Homecoming, ibrido col cinema teen di John Hughes. La crescente consapevolezza è che "cinecomic" nel 2017 non possa essere più un genere autoreferenziale, ma che debba pescare la profondità e l'identità cinematografica in generi preesistenti. Il problema più grande di Justice League è il suo essere appunto... un cinecomic e basta.



  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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