Dio è donna e si chiama Petrunya: recensione della dissacrante commedia macedone in concorso al Festival di Berlino 2019

10 febbraio 2019
3.5 di 5
60

Una giovane donna sconvolge il suo paese e le sue istituzioni religiose. Il film arriva nei cinema italiani il 12 dicembre, distribuito da Teodora Film.

Dio è donna e si chiama Petrunya: recensione della dissacrante commedia macedone in concorso al Festival di Berlino 2019

Un paese giovane, la Macedonia, alle prese con infinite polemiche diplomatiche con la Grecia per quel nome così ambito che rimanda a una grandezza antica come la figura del condottiero Alessandro il Grande. In una piccola cittadina di quella parte del mondo la quarantenne Teona Strugar Mitevska ha ambientato una storia che prende spunto dalla cronaca, Dio è donna e si chiama Petrunya. Ogni gennaio, nel giorno dell’epifania del calendario ortodosso, un prete locale lancia una croce di legno nel fiume e centinaia di uomini si tuffano sfidando neve e freddo intenso per ripescarla e rinnovare simbolicamente, anno dopo anno, il sacrificio dell’uomo nei confronto di Dio. In particolare è il vincitore a festeggiare un anno che sarà per lui pieno di fortuna e prosperità. Il vincitore, si diceva, l’Uomo vincitore. Ma questa volta, scandalo degli scandali, è Petrunya, una donna, una vulcanica trentenne, non proprio regina di stile, tanto ironica quanto insicura sulla direzione da prendere nella vita, a prendere in mano per prima il crocifisso.

Un gesto vittorioso preso molto male da tutti gli sconfitti, incapaci di accettare l’affronto di una donna protagonista del rituale così antico e così fallocentrico. Petrunya è assediata dalla folla inferocita, non ha alcuna intenzione di cedere il prezioso trofeo, mentre la polizia cerca un’opera di mediazione insieme alle istituzioni cittadine e al pope. Dio è donna e si chiama Petrunya, ci dice la regista, che rende questa improbabile eroina una sorta di Giovanna d’Arco macedone, per la costruzione di una nuova idea di religione intesa come istituzione, in lotta contro la misoginia di una società patriarcale ormai fuori dal tempo. Per farla crollare, ci vuole un primo sforzo di qualcuno che mostri la via. Lo fa in maniera piena di ironia e disincanto, rendendo questa parabola di orgoglio perduto dei pomposi notabili locali un bel messaggio di liberazione e rispetto per un ruolo finalmente paritario della donna nella società balcanica.

Lo fa anche veicolando un’immagine femminile normale, ben lontana dai criteri di presunta bellezza veicolati dalla società dei consumi. Petrunya è se stessa senza sovrastrutture, che sia nuda con le forme sane in mostra o in giro per il paese con un’improbabile pellicciotto in acrilico. Sua compagna di lotta una giovane giornalista che si ostina a fare il suo mestiere dando visibilità alla lotta, in pieno accordo e solidarietà femminile e femminista. Entrambe sono alla ricerca di un ruolo in una società asfittica di provincia, cercando di non allungare la lunga fila dei giovani locali che emigrano verso l’occidente europeo, in cerca di fortuna o anche solo di meritocrazia.

Il soggetto alla base di Dio è donna e si chiama Petrunya è gustoso, pur se stiracchia un po’ le sue trovate. Una bella scoperta la disinvoltura di Zorica Nusheva nei panni della protagonista.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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