Spider-Man Homecoming: la nostra recensione del film

04 luglio 2017
3.5 di 5
56

La Sony e la Marvel rilanciano la serie con humor e leggerezza.

Spider-Man Homecoming: la nostra recensione del film

Dopo aver da poco partecipato agli eventi di Captain America: Civil War, il quindicenne Peter Parker alias Spider-Man (Tom Holland) si sente pronto a grandi imprese, tra un problema liceale e l'altro. Il suo mentore Tony Stark alias Iron Man (Robert Downey Jr.) non lo ritiene ancora pronto: fermare i piani di un misterioso Avvoltoio (Michael Keaton) sarà un buon terreno di prova?



Ammettiamolo, prima di procedere: c'è il grosso rischio di non farcela più. Dopo la delusione del primo reboot con Andrew Garfield nei due Amazing Spider-Man, è legittimo accogliere Spider-Man: Homecoming con riserbo, per usare un eufemismo. Frutto di un accordo tra Marvel Studios e Sony Pictures, il film di Jon Watts arriva con un'aura di operazione puramente commerciale che rischia di renderlo antipatico e indigesto ancora prima della visione. Non sprecheremo caratteri per negare l'evidenza dello sfruttamento disperato del marchio, ma qualcosa va scritto sul resto, dato che Homecoming cerca e alla fine conquista, miracolosamente, un suo perché e una sua simpatia.



I fan del Marvelverse saranno contenti di vedere finalmente il Tessiragnatele interagire con gli altri personaggi dei Marvel Studios, senza più paletti contrattuali, ma Homecoming centra qualcos'altro a priori: individua una chiave creativa e un registro sensati per giustificare la riproposizione del personaggio. "Spider-Man incontra il cinema di John Hughes" era l'idea suggerita in preproduzione: per chi non cogliesse l'ispirazione, c'è infatti una citazione esplicita dal cult Una pazza giornata di vacanza. Un obiettivo arduo da raggiungere, perché l'adolescenza negli anni Ottanta andava esplorata, riscoperta, rivendicata: ora invece è al potere, costituendo il pubblico cinematografico di riferimento per eccellenza, in particolar modo dei cinecomic. Spider-Man: Homecoming ci bombarda di "fico", "zio", cotte, balli del liceo e amico nerd sovrappeso, e sulle prime si fatica a inquadrare una sostanza sotto queste formule. A mano a mano che il film procede e la sceneggiatura (a dodici mani!) fa combaciare le tessere del suo puzzle, l'idea per fortuna comincia a reggere il peso del film: è un piacere, avendo a che fare con uno Spider-Man già attivo, spostare il romanzo di formazione dall'opprimente senso di colpa delle precedenti versioni a una crescita interiore più comune, scanzonata e leggera.



Sembra quasi che la Sony e i Marvel Studios abbiano metabolizzato il successo del concorrente dissacrante Deadpool della Fox, pescando da quest'ultimo solo l'autoironia che si potesse adattare a Spider-Man, senza però snaturarlo e senza quegli eccessi. Abbiamo in particolare apprezzato che questa leggerezza non abbia impedito un margine di vera fallibilità del protagonista, riflesso bene nello svolgimento della storia, che è meno prevedibile di quanto si possa pensare (ci riferiamo in particolare alla risoluzione di un paio di personaggi). Holland ci è apparso all'altezza della situazione, una sorta di Shia LaBeouf meno nevrotico, e il Tony Stark rivisitato di Robert Downey Jr. è un contraltare brillante, meno gratuito di come si potesse temere. Ci sarebbe forse piaciuto che le motivazioni del personaggio di Keaton fossero approfondite maggiormente. Aspettiamo la seconda prova, sperando che Watts, sicuro sulla commedia, acquisisca una maggiore sicurezza nell'allestimento delle sequenze d'azione, non sempre chiarissime.
Ciò che più conta è che, terminata la visione, la prospettiva dell'inevitabile sequel suona comunque meno pesante, perché Spider-Man: Homecoming si è guadagnato con l'impegno un buon piazzamento, partendo sfavorito e allestendo un ensemble di personaggi ai quali riesce a farti affezionare.



  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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