Faccio un salto all'Avana - la recensione del film
Nel momento in cui, contattato dai produttori della Rodeo Drive, Dario Baldi ha accettato di dirigere Francesco Pannofino e il "monstrum" Enrico Brignano nella commedia Faccio un salto all'Avana, si è posto tre obiettivi: fare un film semplice, in cui ogni spettatore potesse trovare il proprio angolo di interesse e di divertimento, all...
Faccio un salto all'Avana - la recensione
Nel momento in cui, contattato dai produttori della Rodeo Drive, Dario Baldi ha accettato di dirigere Francesco Pannofino e il "monstrum" Enrico Brignano nella commedia Faccio un salto all'Avana, si è posto tre obiettivi: fare un film semplice, in cui ogni spettatore potesse trovare il proprio angolo di interesse e di divertimento, allontanarsi dai cliché e dalla goliardia dei vari cinepanettoni e cinecocomeri, ed evitare di raccontare per immagini la splendida Cuba in maniera oleografica. Missione compiuta.
Grazie ad approfonditi ed estenuanti sopralluoghi cominciati diverse settimane prima dell'inizio delle riprese, Baldi ha scovato angoli, se non remoti, almeno poco filmati dell'isola caraibica, e da buon montatore e regista di documentari, ha saputo catturare, con l'aiuto della luce naturale e di uno stile mosso, lo spirito de L'Avana, città della gioia, ma anche della povertà.
Città inebriante, che sembra premere sui bordi dell'inquadratura quando non è tutta in campo, ma che comunque resta al servizio dei personaggi, pedinati spesso in lunghi piani-sequenza.
In questo contesto non da cartolina si muovono i "fratelli diversi" Vittorio e Fedele, il primo fuggito dall'Italia (dove lo credono morto) per far fortuna a Cuba grazie alla sottile arte della truffa, il secondo a caccia del primo nonostante le proteste isteriche di una moglie insopportabile e cafona.
Interpretati da attori che da sempre difendono e si affidano a una comicità non di battuta, ma di situazione, sono ovviamente lontanissimi dai protagonisti di tanti film natalizi o balneari, anche perchè risentono della personalità di due mattatori che sul set hanno goduto di quella libertà che è facile avere quando dietro la macchina da presa non c'è un autore consumato.
Punto di forza ed essenza stessa di Faccio un salto all'Avana, i buddies Brignano e Pannofino sono incontenibili, irrefrenabili e a volte fuori controllo, e se il primo riesce comunque a mantenere un giusto equilibrio fra risata e tenerezza, il secondo rischia di risultare eccessivo e a tratti caricaturale, con il risultato che la sua splendida voce – che per noi ormai è quella di George Clooney – finisce, ahimé, per gracchiare.
L'impressione, quindi, è che per non scontentare, o sminuire, i suoi titanici protagonisti, il regista abbia perso di vista la storia, dimenticando di sorprendere il pubblico con qualche imprevisto e sacrificando le performance dei comprimari, che se la cavano egregiamente – in particolare i cubani e le donne rimaste a Roma.
Fin dalle prime immagini, insomma, sappiamo benissimo come la vicenda andrà a finire, che l'amore trionferà, cosa ne sarà di Vittorio e a quali cambiamenti andrà incontro l'ingenuo e timido Fedele.
Forse questa che noi chiamiamo prevedibilità in fondo coincide con quella semplicità di cui sopra. Anche in questo caso, dunque, lo scopo sarebbe stato raggiunto. Ma viene da chiedersi: senza spiazzare lo spettatore, non sarebbe meglio stupirlo, di tanto tanto, invece di coccolarlo e proteggerlo non si sa da che a suon di lieto-fine, buoni sentimenti e redenzioni?
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali