Oscar 2025: la gara per il miglior regista
Cinque candidati e un favorito che sembra essersi delineato solo negli ultimi mesi se non settimane. Una categoria cruciale e sempre discussa, in cui sono presenti vincitori della palma d'oro e ben due francesi. Chi è in lizza e chi vincerà l'Oscar 2025 per la miglior regia.

Ormai è tutto pronto, ogni rinvio dovuto ai terribli incendi di Los Angels dei mesi scorsi è scongiurato, e le schede sono state inviate e presto saranno conteggiate. Gli Academy Awards, per gli amici Oscar, sono pronti a tornare domenica 3 marzo per la 97esima edizione della serata di premiazione che segna la stagione del cinema. Che piaccia o meno, che la si critichi in ogni aspetto per immobilismo o per aver premiato chi non se lo meritava. Per arrivare preparati vi invitiamo a tenere sott'occhio l'elenco dei candidati agli Oscar 2025, mentre in questo articolo vi presentiamo una categoria d'eccellenza come quella per la miglior regia.
Sono gli autori che segnano film e ci regalano le storie che fanno innamorare. In un'annata particolarmente incerta hanno attraversato fasi in cui sono stati tutti e cinque in primo piano, se non favoriti. Andando a pescare nei libri di storia degli Oscar notiamo come è stato John Ford ha portare a casa il maggior numero di statuette per la miglior regia, ben quattro, davanti a Frank Capra e William Wyler con tre. Prima donna a vincerlo è stata quindici anni fa Kathryn Bigelow.
Sarà una gara agguerrita, che ha sorpreso in partenza con l'assenza fra i candidati di Edward Berger, nonostante le otto candidature per il suo Conclave, e la presenza dell'emergente francese Coralie Fargeat per The Substance, che insieme a Jacques Audiard tiene alto l'onore europeo, ma soprattutto francese.
Oscar 2025 Ecco i cinque candidati come miglior regista
- Sean Baker per Anora
- Brady Corbet per The Brutalist
- James Mangold per A Complete Unknown
- Jaques Audiard per Emilia Perez
- Coralie Fargeat per The Substance
Sean Baker per Anora
La presentazione del suo nuovo film, Anora, torrenziale e irriverente, lungo oltre tre ore e divertente oltre che romantico ha colpito al cuore critica e addetti ai lavori nel corso della presentazione al Festival di Cannes, tanto da vincere a sopresa la Palma d'oro. Ora Sean Baker sembra diventato il favorito per ottenere anche la statuetta per la miglior regia, dopo aver portato a casa il Directors Guild Award, il premio assegnato dai suoi colleghi, dal sindacato dei registi americani. Baker proviene dal cinema indipendente duro e puro, e Anora rappresenta la sua irruzione in un cinema più mainstream, parzialmente anche a livello di budget. Si è fatto conoscere una decina d'anni fa per un film girato con gli iphone, Tangerine, a cui sono seguiti, tutti e tre presentati a Cannes, The Florida Project, Red Rocket e, appunto, Anora.
Il film ha sei candidature, due che coinvolgono proprio il poliedrico Baker, per montaggio e sceneggiatura originale, oltre a miglior attrice per la sorprendente Mickey Madison, attore non protagonista per l'ottimo Yuri Borisov, e la categoria più importante, quella per il miglior film. Dopo il traino della vittoria a Cannes, nei mesi successivi, fra estate e autunno, è sembrato che il Corbet di The Brutalist e Audiard per Emilia Perez potessero superarlo in chiave Oscar, ma il vento sembra di nuovo cambiato nelle ultime settimane, fra disgrazie altrui e vittorie importanti come quella ai DGA. Ora è lui il frontrunner, come amano dire in California.
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Brady Corbet per The Brutalist
Per molti versi sarebbe il vincitore perfetto degli Oscar, almeno in questa categoria, rappresentando un cinema ambizioso e maiuscolo, che rimanda a un approccio autoriale ma spettacolare che ha fatto grande Hollywood, non solo negli anni d'oro, ma anche nel New Cinema dagli anni '70. Insieme a Baker, Brady Corbet rappresenta una nuova generazione americana di registi, considerando come lo scorso anno l'unico rappresentante a stelle e strisce era stato Martin Scorsese, decisamente figlio di un'altra epoca. Corbet ha iniziato come attore fin da ragazzino, apparendo poi in successi indipendenti come Mysterious Skin, Thirteen, il Funny Games di Haneke o Melancholia di Lars Von Trier.
L'esordio come regista è arrivato con L'infanzia di un capo, presentato come i successivi Vox Lux e ora The Brutalist in concorso al Festival di Venezia, dove è nata - con il Leone d'argento per la regia - l'avventura di questo originale e sontuoso affresco sulla seconda vita in America di un architetto ungherese sopravvissuto ai campi di concentramento, mirabilmente interpretato da Adrien Brody, uno dei favoriti come miglior attore. Il film ha iniziato dopo Venezia un percorso simile a parallelo a quello di Anora, due autori americani relativamente "nuovi" che conquistano i due storici festival europei e si presentano alla stagione dei premi con ambizioni fondate. Le tre ora e mezza di lunghezza, con intermezzo, non hanno forse aiutato, così come le voci su un "aiuto" dell'intelligenza artificiale nelle parti recitate dagli attori americani in ungherese. Certo non è in questione, però, la grande integrità aritstica di questo potente film. Se Baker sembra favorito, Corbet ha pur sempre vinto ai Golden Globe e ai BAFTA nella categoria.
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James Mangold per A Complete Unknown
Non sarà un maestro, ma James Mangold è un nobilissimo regista poliedrico, capace di passare da un genere all'altro con immutata serietà ed efficacia. Un sontuoso artigiano, insomma, che ha diretto il miglior cinecomic, Logan, così come Cop Land, Ragazze interrotte o Walk the line - Quando l'amore brucia l'anima. In linea con l'amore per la musica degli anni '60 dimostrato in quest'ultimo titolo giunge ora A Complete Unknown, il suo racconto degli anni di svolta elettrica di Bob Dylan, con un ruolo anche per quel Johnny Cash che aveva raccontato nel film con Joaquin Phoenix. Qui è Timothée Chalamet ad aver conquistato anche i detrattori con una performance di gran livello, anche musicale, visto che ha cantato, come gli altri protagonisti, in prima persona i brani del film.
Non ha iniziato il suo percorso in un grande festival, A Complete Unknown, è giunto in sala a Natale senza che si pensasse a un percorso Oscar di livello. Invece se l'è cavata e sta facendo parlare di sé, aiutato da recensioni molto calorose e l'amore per Dylan ancora ben presente, specie negli Stati Uniti. La star Chalamet ha contribuito a far salire le quotazioni, ma per la regia ci sentiamo di dire che la candidatura sarà il massimo ottenibile, e non è di certo poco per Mangold.
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Jaques Audiard per Emilia Perez
Quante cose possono cambiare nello spazio di poche ore, come l'emergere di alcuni incauti twit della protagonista di Emilia Perez, Karla Sofia Gascon, fino a quel momento, e parliamo di fine gennaio, con il vento in poppa per concretizzare molte delle tredici candidature ottenute dal film francese di Jacques Audiard. Un trionfo partito a Cannes, con un'accoglienza straordinaria e commossa per il musical crime con la prima vittoria di un'attrice trans, insieme alle sue colleghe, e il premio per la giuria. Le polemiche roventi hanno sconvolto tutto, e a maggior ragione una delle statuette più difficili per il film, quella per la regia, non transiterà dalle parti di Parigi. Audiard ha già ottenuto un gran successo con questa candidatura.
Rimane uno dei grandi autori del cinema francese contemporaneo, vincitore della Palma d'oro, anche se per il non irresistivile Dheepan, di quattro César e di una candidatura all'Oscar straniero per quello che rimane forse il suo miglior film, insieme a Tutti i battiti del mio cuore, cioè Il profeta. Va detto che i registi europei, esclusi quelli di oltremanica, non si sono fatti valere spesso agli Oscar. Solo in due, Polanski e Hazanavicius, hanno vinto in questo secolo come migliori registi.
Coralie Fargeat per The Substance
Ma che bella sorpresa, per un film così femminista senza pesantezze, dirompente e politico, ma soprattutto maledettamente divertente come The Substance. La regista francese, Coralie Fargeat, è riuscita ad ottenere una candidatura insperata, ma meritata, dopo essersi fatta conoscere con l'opera prima horror, Revenge. Infatti è solo all'opera seconda e già è in corsa per una statuetta, che chiaramente sarà impossibile ottenere domenica prossima. Altra storia per la sua protagonista, Demi Moore, che sembra favorita come miglior attrice.
Parigina, classe '76, Fargeat ha fatto anni di gavetta sui set, dopo una laurea in scienze politiche, lavorando come assistente alla regia, ha diretto alcuni corti e poi il dirompente esordio di Revenge, apprezzato da Toronto al Sundance.
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