Gli orsi non esistono, ma fanno miracoli grazie a Jafar Panahi
E' da oggi nelle sale italiane, distribuito da Academy Two, Gli orsi non esistono, il film premiato a Venezia e diretto da Jafar Panahi, che continua a creare cinema di grande livello in condizioni impossibili. Ne abbiamo parlato con i protagonisti del film.

Ha qualcosa di miracoloso, Gli orsi non esistono, il nuovo film di Jafar Panahi vincitore del premio speciale della giuria alla scorsa Mostra del cinema di Venezia. Il grande autore iraniano vive sotto controllo del regime da anni - nel frattempo è di nuovo agli arresti - ma nonostante questo è riuscito a realizzare in condizioni così difficile un film pieno di idee di cinema notevoli.
Appena uscito nelle sale per Academy Two, il film racconta due storie in parallelo, una ambientata in Turchia con una donna iraniana alle prese con un’attesa ormai estenuante per poter emigrare in Europa, e un'altra che ha luogo in Iran, proprio al confine con il Paese governato da Erdogan, dove un regista, interpretato proprio da Jafar Panahi, dirige a distanza il suo nuovo film.
Le note preparate per la stampa de Gli orsi non esistono parlano del ritratto di “due storie d’amore parallele. In entrambe, gli innamorati sono tormentati da ostacoli nascosti e ineluttabili: la forza della superstizione e le dinamiche del potere”. Ovviamente non è giunta la voce di Panahi, soffocata da un regime liberticida, sia a Venezia che ora che il film esce nelle sale italiane, ma al Lido abbiamo incontrato la protagonista, Mina Kavani, da anni a Parigi, e il tecnico del suono Reza Heydari, per l’occasione anche attore nel film all’interno del film.
Mina Kavani è emozionata, nel raccontarci questa sua nuova esperienza. "Vivo da quasi dodici anni a Parigi e da nove non torno in Iran. Lavorare con un autore iraniano che vive nel mio Paese, oltretutto il più nostro più grande maestro, è stata come la chiusura di un cerchio, un sogno diventato realtà. Sono andata in Turchia dove è ambientata la storia che interpreto. Abbiamo interagito a distanza, purtroppo non abbiamo potuto averlo con noi come leader. Sono rimasta però impressionata come in realtà fosse sempre presente. Via zoom o con messaggi whatsapp era sempre estremamente preciso nelle sue indicazioni. Era sempre concentrato e consapevole di quello che voleva da ognuno di noi. Alla fine è stata una normale relazione con un regista. C’è una scena in cui mi sono messa a piangere e lui mi ha corretta, dicendo che il mio personaggio doveva essere forte, pronta a fare la rivoluzione. Tutto attraverso il telefono. Vedeva ogni scena mandata via computer e poi subito dava le sue indicazioni".
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Reza Heydari è alla terza collaborazione come tecnico del suono con Panahi, ovviamente per la prima volta è stato coinvolto anche come attore. “Il suo intervento a distanza non ha riguardato naturalmente solo la recitazione, ma anche ogni aspetto legato alla messa in scena", ha agigiunto Heydari. “Sceglieva l’angolo preciso in cui dovevamo mettere la macchina da presa, da dove a dove dovevamo muoverci, era tutto gestito da lui. Per quanto riguarda le riprese in Iran, invece, è stato molto difficile. Avevamo sempre paura che venissero le autorità a interrompere le riprese e avessimo tanto lavorato per niente. Nel piccolo paese in cui abbiamo girato sono stati all’inizio molto ospitali e collaborativi, ma dopo sei giorni hanno chiamato la polizia e non sono stati più così carini con noi. Ma dovevamo girare alcune scene proprio lì, per cui a un certo punto Jafar Panahi ha deciso di iniziare a girare con lo smartphone mandando qualcuno nel villaggio, con una troupe assolutamente molto ridotta. Neanche io, come tecnico del suono, ero presente. Alcune scene le abbiamo girate molto vicino al confine con la Turchia, in uno dei momenti più difficili. Eravamo tutti in una macchina sola, compresi gli attori. Abbiamo girato durante la notte, con pochissime luci, rischiando di finire nel precipizio e lasciarci la pelle. Tutto per non essere identificati. Ma per fortuna è andata bene”.