Giorgio Diritti e i fantasmi dei film precedenti in rassegna a Porretta Cinema
Tutte le cinque opere di finzione di Giorgio Diritti sono presentate in una rassegna a Porretta Cinema, occasione per tornare indietro fra i fantasmi dei personaggi che hanno popolato quasi un ventennio. La nostra intervista al regista emiliano.
Fra colline e monti dell’appennino, nella punta estrema dell’Alta valle del Reno bolognese, a pochi passi dal confine con la Toscana, Porretta Cinema regala l'occasione di parlare anche di accenti e linguaggio, come fatto in un incontro con Francesco Guccini, cultore e divulgatore principe della materia. Lo abbiamo fatto anche con Giorgio Diritti, che fra questi monti e vallate ha ambientato e girato il suo secondo (di cinque) film, L’uomo che verrà, sulla strage di Marzabotto. Girato in dialetto locale, da parte di un autore che ha girato in occitano, il suo esordio, Il vento fa il suo giro, spingendosi fino al Brasile amazzonico e alla Svizzera interna, con rispettive lingue in primo piano.
“È importante dare attraverso la lingua o il dialetto una dimensione ulteriore di verità”, ci ha detto nel corso di un incontro a Porretta Terme. “Nell’ambito dell’incontro che costruisco, anche le differenze linguistiche fanno che si che nelle relazioni fra le persone ci sia un disagio oppure un’affinità. Questa cosa mi sembra importante da porre in evidenza, perché certe volte sulla dimensione della differenza di lingua si costruisce anche una distanza”.
Questi luoghi sono importanti per lei, dal punto di vista immagino personale e biografico oltre che personale.
Ci sono legato tantissimo, pur essendo nato a Bologna e per ragioni legate al lavoro di mio padre spostato anche in altre città, qui la sensazione è di casa, rafforzata da quando ho iniziato a lavorare su L’uomo che verrà. Sono entrato in contatto con la storia vera, quella delle persone, non solo quella dei libri di storia, che semplificano, con numeri e date che sono asettici. Invece andare sul territorio mi ha fatto conoscere ancora più in profondità il dialetto emiliano, le emozioni delle persone. Su questo ho sentito fondamentale rendere queste cose importanti nella relazione con le persone.
A proposito di emotività, nella costruzione della sceneggiatura del film, chi utilizza come cavia emotiva, elemento per capire nelle varie fase se e e come l’emozione arriva in una determinata scena o battuta?
La prima verifica di solito è tra le persone con cui scrivo. Spesso siamo in tre, un triangolo di rimbalzi e sensazioni. Mi fido anche molto dell’istinto e nel rapporto con i produttori, conta molto il loro sguardo e la loro esperienza. Infine, ma non meno importante, ci sono due o tre persone a cui trasferisco la sceneggiatura, che non ne sanno niente e chiedo se trasmette emozione. È un cocktail che mi aiuta a identificare quello che ancora non arriva o arriva troppo.
Porretta in questi giorni propone una retrospettiva dei suoi film quindi, che le piaccia o meno, deve guardare un po’ alle spalle. È uno di quei registi che convive con i fantasmi del personaggi dei suoi vecchi film, oppure una volta che il film è fatto diventa storia?
Vado a dormire tutte le sere con i fantasmi, in senso buono. C’è un rapporto che rimane, perché tante volte purtroppo la cronaca porta a rientrare in certe storie. Inevitabilmente c’è un richiamo che smuove ancora la vita di queste persone e anche il fatto stesso che ci siano occasioni come questa, di cui sono felicissimo, in cui addirittura tutti i miei film sono stati riproposti in una rassegna.
So che è come con i figli, ma un film preferito c’è?
Potrei dire questo, forse sono come tutti i figli adottati, nel senso che diventa ancora più difficile dare delle preferenze, perché ognuna di queste storie ha una sua peculiarità, una sua importanza. Dal film in Amazzonia, che va in ricerca a una parte di noi più interiore, alla storia di Lubo, di drammatica quotidianità ancora oggi nella dimensione di persecuzioni e combattimenti fra etnie. Poi la storia delle pagine dell’Uomo che verrà, che fra tutti i figli è forse quello che sento più vicino, per tanti motivi, anche per come è stato fatto, per il grande aiuto ricevuto qui sul territorio, per le testimonianze raccolte. Poi c’è il primo, Il vento fa il suo giro, avventura anche produttiva bellissima, insieme a persone straordinarie. Diciamo che li ho tutti a tavola con me, o almeno mi salutano prima di andare a dormire, i protagonisti, chiedendo come vada. E a volte è difficile rispondere, ‘bene’.
E allora sta per adottare qualcun altro, quale sarà il prossimo film?
Ci sono due o tre progetti su cui sto lavorando da tempo, in particolare sono abbastanza motivato a raccontare delle generazioni giovani, persone che hanno finito gli studi e si affacciano al mondo del lavoro. Della proiezione di quella che sarà la vita, quindi dei travagli e delle difficoltà, loro e delle loro famiglie. È uno sguardo diciamo più contemporaneo che vorrei raccontare. E poi l’altra grande scommessa, ma visto l’andamento del cinema oggi sarà complesso, sarebbe lavorare su Matilde di Canossa.