A letto con Sartre, una banda di poeti: incontro con il regista Samuel Benchetrit
Vanessa Paradis e una banda di criminali e poeti. Il teatro e la cultura nelle vite di marginali che popolano le distese periferiche lontano dalle grandi città. Un’altra divertente commedia piena di tenerezza per Samuel Benchetrit con cui abbiamo parlato di A letto con Sartre.
Non solo anche i duri hanno un cuore, ma sono pure dei poeti, almeno se c’è di mezzo una donna da conquistare. Lo scrittore e regista Samuel Benchetrit continua il suo racconto delle marginalità, sia sociali che geografiche, spingendosi nel mezzo del cemento di quelle periferie fra rotonde infinite ed eterne fabbriche più o meno dismesse. È appena uscito in sala per I Wonder Pictures, dopo la presentazione al Festival di Cannes nella sezione Première, A letto con Sartre, con Vanessa Paradis, Gustave Kervern, François Damiens, Bouli Lanners e Valeria Bruni Tedeschi.
Una commedia che unisce leggerezza di stile e toccante empatia nel tratteggiare le figure di una banda di personaggi strambi e maldestri “alle prese col potere terapeutico della poesia, del teatro e dell’amore. Le loro storie si intrecciano e scontrano in modi diversi, creando una commedia corale che si fonda sul tema della tenerezza”. Il tutto sullo sfondo delle prove per uno spettacolo teatrale sulla relazione fra Sartre e Simone de Beauvoir.
Un film divertente, ma con al centro l’amicizia e il bisogno di stare vicino alle persone a cui vogliamo bene, quelle che ci siamo scelte anche al di là della famiglia. È questo il senso emotivo di A letto con Sartre? Lo abbiamo chiesto a Samuel Benchetrit, nel corso di un’intervista realizzata a Cannes.
“L’ho fatto prima della pandemia, ma è vero che è un film sul concetto di banda, sul gruppo. Da bambino mio padre era un operaio in fabbrica e aveva la sua banda di amici, dei tipi anche duri che facevano un mestiere impegnativo. Ero sempre toccato dalla tenerezza che sapevano esprimere ogni tanto, la sera o durante il fine settimana quando andavano a fare dei picnic con le loro compagne. Erano talmente pudichi che quella tenerezza assumeva una dimensione particolare. È questo il soggetto di base per me di A letto con Sartre”.
A proposito di banda, lei lavora spesso con gli stessi attori.
Quando incontri qualcuno come Gustave Kervern, Bouli Lanners o Vanessa Paradis, sono talmente formidabili, così umani e allo stesso tempo umili, perché dovrei andare a cercare altrove? Ormai scrivo praticamente per loro. Con Bouli ho fatto tre film, François Damiens non lo conoscevo, ma sapevo incrociandolo ogni tanto che mi sarebbe piaciuto. Non posso filmare che delle persone che mi piacciono, ancora non sono riuscito a farlo con qualcuno con cui non mi trovo bene. Sono delle persone con cui siamo insieme da tempo. Loro ci sono per me ed è meraviglioso.
Il film ha un suo stile e un umorismo particolari, ricordano un po’ i fratelli Coen, con ironia e ritmo che emergono da qualcosa che accade spesso fuori campo.
Non ho avuto ispirazioni particolari. Il solo regista che avevo in mente era Claude Sautet, pensavo alla sua banda in Tre amici, le mogli e (affettuosamente) le altre. Io avevo la mia di banda, che oltretutto somiglia alla Francia, con neri, arabi, belgi, italiani. Il fuori campo è sicuramente molto importante, volevo parlare degli ambienti che sono come deserti, personaggi molto duri che popolano questi ambienti e far emergere ogni loro giorno la poesia che avevano dentro. Ognuno ha in sé una tenerezza, un fiore. Questo mi divertiva e poi sono come dei bambini, vogliono piacere a una donna. Allora uno scrive una poesia o un altro si impegna per il teatro in cui recita la tipa che gli piace. Era una dinamica che trovavo interessante.
Ha raccontato ancora una volta un paese lontano dalla grande città, delle periferie geografiche lontane apparentemente da tutto. Cosa trova ci sia di cinematografico in questi posti?
Quello che mi piace è che ti obbligano a partecipare all’ambiente, bisogna condividere la bellezza. Arrivando sembrano posti industriali senza fascino, poi avvicinandoti trovi una possibile inquadratura con una sua bellezza malinconica. Quando vado in Grecia o nel sud non posso che ammettere come sia bello, ci sia il sole, un bel caldo, ma questi altri posti ti trasmettono un’emozione diversa, ti danno a sensazione di far parte di quelle scenografie. È come con le persone, ci sono uomini come Brad Pitt che sono molto belli, anche se lui in effetti ha anche carisma. Allora faccio un altro esempio con i modelli. Sono bellissimi, ma finisce lì. Ci sono persone come Kervern stesso… io lo trovo molto bello, è romantico. Uno potrebbe dire, ma sei pazzo a metterlo con Vanessa Paradis? Ma no, funzionano molto bene insieme. Parlava dei fratelli Coen, loro sono così, bisogna cercare la bellezza in certi contesti, ma quando la si trova è magnifica.
Mostra la cultura non come monopolio delle classi sociali più elevate, ma trasversale. Così anche come per il cinema, che può e deve essere rivolto a tutte le classi sociali.
Naturalmente. Tutti siamo un po’ artisti, non bisogna pubblicare libri, girare film o fare delle mostre. Spesso incontro delle persone, come il club di poesia che si vede all’inizio del film, per cui ad esempio lo scrivere poesie rappresenta qualcosa di molto importante. Perché no. Non mi sento superiore a nessuno perché faccio questo mestiere. La cultura è dappertutto, tutti la amano.
La violenza che ruolo ha?
È sullo sfondo, per mostrare la loro situazione. Bisogna sapere che sono dei violenti, ma non è quello di cui parliamo. Per far vedere la loro tenerezza bisogna rendersi conto che vivono in un contesto criminale. Parliamo di amore, di cultura e di amicizia per tutto il film, poi ogni tanto ci sono delle esplosioni. Ma in realtà, invece di uccidere qualcuno meglio leggergli una poesia. È una nuova arma.