Benvenuti a Marwen: la recensione del nuovo film di Robert Zemeckis con Steve Carell

03 gennaio 2019
3.5 di 5
21

Un film spiazzante, infantile e complesso, oscuro e giocoso, che di certo non lascia indifferenti.

Benvenuti a Marwen: la recensione del nuovo film di Robert Zemeckis con Steve Carell

A pensarci bene, il cinema di Robert Zemeckis è stato sempre caratterizzato dalla voglia di far convivere due mondi: pensiamo ai diversi piani temporali che si influenzano a vicenda della saga di Ritorno al futuro; al mondo degli umani e quello dei cartoon in Chi ha incastrato Roger Rabbit?; alla vita e alla morte di La morte ti fa bella; al reale e all'immaginario di Le verità nascoste. E giù, fino alla verità e alla finzione di Allied, passando ovviamente per l'analogico e il digitale dei film in performance capture e, ovviamente, anche per Forrest Gump: il film dove a cercare una coesistenza erano la visione del mondo e delle cose delle persone "normali" e quella di un protagonista "speciale".

In questo senso, è proprio quel film lì quello che ha più punti in comune con questo spiazzante Benvenuti a Marwen, storia vera portata al cinema da Zemeckis con la convinzione un po’ spavalda e sicuramente testarda che gli è propria, mescolando senza soluzione di continuità non solo il mondo reale e quello immaginario creati dal protagonista, ma anche la sua sincerità vagamente infantile e le sue astuzie da regista navigato, e la sua spudorata voglia di giocare con il cinema e con le tecnologie che il digitale gli mette a disposizione.
Di Forrest Gump, questo nuovo lavoro di Zemeckis non riprende solo un sentimentalismo a tratti fin troppo spinto e zuccheroso, ma anche lo sguardo sul mondo e sulle donne di un essere umano particolare e speciale in più di un modo, e in maniera forse ancora più estrema, e dolorosa, di quanto non fosse per il celebre personaggio incarnato da Tom Hanks.
In Benvenuti a Marwen, anzi, Zemeckis sembra voler dilatare alle estreme conseguenze quei grumi di oscurità che costellavano la storia e la parabola apparentemente così solare di Forrest.

C'è indubbiamente qualcosa di vagamente inquietante, nel modo in cui Zemeckis racconta e mette in scena il mondo creato da Mark Hogancamp, quello in cui si muove, circondato da donne seducenti e protettive, sintesi ideale tra le Barbie e Jessica Rabbit, e minacciato da perfidi nazisti che risorgono invariabilmente dalla morte per ossessionarlo, e cercare di eliminare lui e quelle figure femminili che tanto gli stanno a cuore, il suo bigjimesco alter ego Hogie.
È inquietante, eppure regala un piacere sottile e perverso, ritrovare le fattezze di Steve Carell nel volto levigato e artificiale di Hogie, e quello delle tante protagoniste femminili del film in quello delle sue eroiche e agguerrite compagne.

Dentro quel mondo, Zemeckis ci fa letteralmente precipitare nella primissima scena del film, introducendo da subito, e in maniera sorprendente, quei tacchi alti che stanno lì per un motivo ben chiaro, anzi centrale nella storia, e che torneranno ancora e ancora, e la violenza nazista che ossessiona e terrorizza Hogie e Mark, e le donne che "sono le salvatrici del mondo", come lo stesso Carell dirà chiaramente verso la fine del film.
Da quel mondo si esce in maniera altrettanto improvvisa, eppure naturale, straordinariamente fluida (come tutte le transizioni a seguire) quando Zemeckis ci racconta del vero Mark, del suo dolore, della sua storia, delle sue ossessioni e della sua dipendenza, che è quella dal suo stesso dolore, e dalle paure che lo immobilizzano. Un mondo forse più vero, reale, ma non per questo meno inquietante, e disturbante, e a suo modo infantile.

Difficile dire se, in Benvenuti a Marwen, il primo passo verso una nuova libertà e una nuova consapevolezza venga compiuto da Mark o da Hogie; anche perché non ha forse senso, per come stanno le cose nel film, stare a fare delle differenze.
Rimane il fatto che quei passi vengono compiuti anche grazie a una DeLorean, a un confronto sempre più serrato tra i due mondi che Zemeckis racconta, e al loro rispecchiamento, e a quelle donne tra le quali c'è anche la moglie del regista, e momenti di vuoto desolante e doloroso (penso soprattutto a un confronto incredibile, e quasi in assenza, tra il Mark di Carell e la Nicol di Leslie Mann) che si fanno improvvisamente pienissimi e pirotecnici nelle proiezioni fantastiche delle avventure di Hogie.
In fondo, sembra dire Zemeckis, quel mondo lì, e questo suo film, altro non è che cinema: quel cinema che per lui è l'altro lato, spesso fantastico, a volte oscuro, spiazzante e altrettanto imperfetto, ma catartico, della vita.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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