Till- Il coraggio di una madre: la recensione del film su uno dei più atroci crimini razziali in America
Till è la storia del linciaggio del piccolo Emmett Till, avvenuto nel Sud degli Stati Uniti nel 1955 e del coraggio della madre Mamie, che ispirò il movimento dei diritti civili. La recensione di Daniela Catelli.
Ci sono crimini che gridano vendetta al cielo e restano impuniti, atroci malvagità commesse ai danni di un essere umano da chi non sembra nemmeno tale, storie che vanno conosciute e dunque raccontate per chi non ne sa niente o ricordate a chi rischia di dimenticarle. Il linciaggio di Emmett Till, avvenuto nel 1955 a Money, una cittadina di poche anime nel profondo Sud razzista del Mississippi, è uno dei delitti più atroci tra i molti di cui sono stati vittime i neri americani, e la forza della denuncia della madre Mamie Till-Mobley è stata determinante per l'allargamento della protesta e l'efficacia del movimento per i diritti civili. A raccontare questa pagina dell'orrore reale, dopo la serie Lovecraft Country, è oggi la regista Chinonye Chukwu col film Till - Il coraggio di una madre, che si inserisce nel filone del cinema d'impegno civile.
Emmett Louis Till, detto Bobo, o semplicemente Bo, è un ragazzino vivace e intelligente di 14 anni, un po' sbruffone come tutti gli adolescenti, amatissimo dalla madre vedova di un eroe di guerra, con cui vive a Chicago, dove ha una vita tranquilla e felice. Mamie lavora nell'aeronautica, sta per risposarsi con un barbiere e anche se può capitarle di incontrare in un grande magazzino un fastidioso addetto che le suggerisce di andare a comprarsi le scarpe “al piano di sotto”, è sicura di sé e sa di vivere una situazione estremamente diversa da quella dei suoi parenti che raccolgono il cotone nel Sud. La incontriamo proprio alla vigilia della partenza di Bobo per Money, per una vacanza da passare con zii e cugini. Nonostante la spensieratezza del ragazzo e le mille raccomandazioni, la donna sa benissimo che per un figlio cresciuto nell'amore, il concetto di odio è incomprensibile e per questo ha oscuri e ripetuti presentimenti in merito al suo viaggio. Purtroppo accade proprio il peggio: accusato ingiustamente dalla proprietaria bianca di un emporio di averle mancato di rispetto, in piena notte e sotto la minaccia delle armi Bobo viene rapito dal marito e dal fratello della donna, portato in un capannone e seviziato da loro e da altri uomini, fino alla morte.
Il suo corpo straziato riaffiorerà dal fiume in condizioni terribili pochi giorni dopo e lì inizia il calvario e l'impegno di Mamie. Quando vede come è stato ridotto il figlio, la donna esige che il funerale si svolga con la bara aperta e sceglie che le foto del suo corpo irriconoscibile vengano pubblicate sulla rivista Jet, per raggiungere più gente possibile in un Paese ancora diviso tragicamente a metà. I cittadini bianchi razzisti di Money sembrano rimasti all'epoca della schiavitù ed esercitano il potere di vita e di morte su chiunque osi pretendere pari diritti: l'omicidio di Emmett Till è preceduto sempre in Mississippi da quello di due attivisti, tra cui il reverendo George W. Lee, la cui moglie precedette Mamie nella decisione di svolgere il funerale con la bara aperta. E appena 8 anni dopo la vergognosa assoluzione degli assassini del ragazzo, nel 1963, anche Medgar Evers della NAACP (National Association for the Advancement of Colored People), che vediamo accompagnare Mamie nel suo percorso, viene assassinato di fronte alla sua famiglia (a lui è stato dedicato il film L'agguato – Ghosts From the Past).
Till ha il pregio principale di raccontare molto bene lo sguardo femminile: non solo la dignità e l'orgoglio, pur nel dolore più straziante, della madre coraggio Mamie, ma anche i rimorsi della vecchia nonna (un'irriconoscibile Whoopi Goldberg, anche produttrice), i timori profetici della moglie di Evers e quella mostruosità femminile che è Carolyn Bryant (una bella e coraggiosa prova di Haley Bennett in un personaggio repellente). La sua ferocia e l'assoluta indifferenza per l'imperdonabile strazio che ha provocato nei confronti di un bambino ci dimostrano che essere madre non significa automaticamente essere in grado di provare pietà ed amore. Il confronto indiretto tra le due donne in tribunale è uno dei momenti più riusciti del film. Till racconta efficacemente anche la paura, il vero e proprio terrore che prova chi vive in un posto in cui sa che qualsiasi gesto o parola, se male interpretato o volutamente frainteso, può costargli la vita, per il capriccio di un bifolco che ha dalla sua la legge.
Ed è vero che è un film attuale: a noi l'esposizione del corpo di Emmett ha ricordato le foto di Stefano Cucchi dopo il pestaggio, rese pubbliche dalla sorella. E la sua storia ci ha fatto pensare allo strazio dei genitori di Giulio Regeni, che non hanno voluto rendere note quelle immagini ma hanno assistito al male che ha operato sul corpo del figlio e aspettano ancora giustizia, 67 anni dopo l'omicidio di un altro innocente che non l'ha avuta. Una storia così, però, meritava a parer nostro un approccio diverso. Si sono da poco spente le polemiche per l'esclusione di Chinonye Chukwu dalla candidatura all'Oscar come regista, ma vedendo Till non ci colpisce lo stile della messinscena: classica, patinata e a tratti didascalica, che toglie forza proprio al messaggio che vuole trasmettere. Se qualcuno dovesse proprio lamentarsi per esser stata ignorata dall'Academy, potrebbe essere la protagonista Danielle Deadwyler, che offre una performance davvero molto intensa, anche se resta imprigionata nelle pastoie di un film che nonostante l'orrore vero, terribile e inimmaginabile che racconta, non riesce a sprigionare la potenza, anche violenta, di un cinema militante capace di arrivare nelle viscere dello spettatore. Ciò detto, devono sempre esistere ed essere visti i film che raccontano queste storie, almeno finché (non a caso "till", in inglese) non smetteranno di accadere. E a giudicare da quel che accade ancora oggi, temiamo che questo momento sia ancora lontano.