Pequeña Flor - Petit fleur: la recensione della commedia nera di Santiago Mitre presentata al Torino Film Festival
Una trama assurda e surreale per un film che parla di come l'amore (e non solo) possa e debba sopravvivere alla routine. Alla sceneggiatura, con Mitre, anche il geniale Mariano Llinás. Presentato fuori concorso al TFF, meriterebbe di trovare una distribuzione nel nostro paese.
Daniel Hendler, il bravo attore protagonista di questo film, è quasi omonimo di Daniel Handler, meglio noto con lo pseudonimo di Lemony Snicket.
Se lo dico è perché la storia di Pequeña flor (o Petite fleur, o anche 15 Ways to Kill Your Neighbour) potrebbe benissimo essere stata scritta da Handler.
Invece il romanzo da cui si è partiti per la realizzazione del film l’ha scritto un argentino, Iosi Havilio, e la sceneggiatura è stata firmata dal regista Santiago Mitre assieme all’abituale compagno di scrittura, il geniale Mariano Llinás, con cui ha scritto anche Paulina, Il presidente e il recente Argentina, 1985 (questi ultimo due sono in streaming su Prime Video: recuperateli).
La trama, in ogni caso, è surreale. Ci sono Lucie e José, coppia franco-argentina messa in crisi dalla nascita di una bambina. C’è lui che perde il lavoro, e lei che inizia a lavorare. E c’è lui che, in preda a un curioso raptus, uccide Jean-Claude, l’affettato vicino di casa amante dei grandi vini e del jazz, dello swing in particolare. Solo che pochi giorni dopo il vicino è ancora vivo, e va a finire che diventa pure un caro amico e compagno di chiacchiere e confidenze, da visitare e uccidere, con regolarità, ogni giovedì della settimana. E sempre sulle note di “Petite fleur” di Sidney Bechet, jazzista adorato da Woody Allen.
Il tutto mentre Lucie è sempre in crisi, e inizia a frequentare uno strano terapista e il suo gruppo di pazienti, allontanandosi sempre più da José.
Pequeña flor (ogni riferimento al capolavoro di Llinás, La Flor, è in questo casi puramente casuale) è, ovviamente, una commedia nera. Una commedia nera che flirta col grottesco sempre costeggiandolo, che non scappa di fronte alla vista del sangue, e anzi si diverte nel mettere in scena l’ironica fantasia omicida con cui José uccide il suo vicino.
E però, sotto, e in mezzo, a tutto questo, è assai chiaro che quello di Mitre è un film prima di tutto sulla coppia, sull’amore, e su come l’innamoramento sia qualcosa di assai vulnerabile, facilmente ucciso, proprio come il gaudente Jean-Claude, dalla routine.
Eppure Jean-Claude a quella routine è affezionato, e ci torna, ci si sottopone volontariamente: godendo delle infinite e infinitesimali variazioni possibili sullo stesso tema, come quelle dei suoi amati jazzisti quando affrontano gli standard del genere.
A sua volta, nella routine omicida, il placido e silenzioso José trova il modo per sbloccare quel che di represso esiste nel suo inconscio.
Anche nei disegni che tornerà a realizzare, lui, artista del fumetto e della grafica che non tracciava da un segno da un anno, José troverà un modo per sbloccare qualcosa di intasato, e per accettare che non ci deve essere sempre un senso, una direzione, una comprensibilità.
La routine ha un suo potere, dice Jean-Claude a José, che sarà in grado di riconquistare Lucie, e insieme a lei accettare l’assurdo della vita, imparando a colorare insieme i dettagli degli standard ineludibili che la vita gli mette di fronte.
Anche Mitre (e Llinás) lavorano sulla ripetizione, e sui dettagli, riuscendo a mettere assieme l’assurdo, l’imprevedibile e l’ovvio, con fantasia e rigore. E con l’aiuto di un cast che funziona benissimo: dall’impassibile e imploso Hendler al un divertitissimo Melvil Poupaud che interpreta Jean Paul, passando per una deliziosa Vimala Pons e un Sergi Lopez sempre più a suo agio in parti marginali e ingombranti assieme.