Napoli - New York, la fiaba di formazione di Gabriele Salvatores sull’emigrazione
Due bambini alle prese con un viaggio iniziatico dalla Napoli devastata del dopoguerra all'America del sogno possibile. Una storia fiabesca ispirata da un soggetto mai realizzato di Federico Fellini e Tullio Pinelli. Napoli - New York raccontato dal regista Gabriele Salvatores e il protagonista Pierfrancesco Favino.
“L’odore dei biscotti appena sfornati”, oppure “un film da pianerottolo, che invita alla solidarietà”. Sono solo alcune delle suggestioni evocate dall’affollato palcoscenico di autori e interpreti di Napoli - New York, fiaba di formazione sull’emigrazione che affronta tematiche adulte attraverso gli occhi dei bambini. Il regista è Gabriele Salvatores e nella conferenza stampa di presentazione del film, al cinema Adriano di Roma, ha avuto una parola gentile e garbata, nel suo stile, con ognuno dei presenti. A partire dai due sorprendenti bambini, Celestina (Dea Lanzaro) e Carmen (Antonio Guerra), insieme agli interpreti adulti, Pierfrancesco Favino, Omar Benson Miller, Anna Ammirati, Anna Lucia Pierro, con la partecipazione di Tomas Arana e Antonio Catania.
Il film, in sala dal 21 novembre per 01 distribution, è ambientato in un immediato dopoguerra, siamo nel 1949, tra le macerie di una Napoli piegata dalla miseria. I piccoli Carmine e Celestina tentano di sopravvivere come possono, aiutandosi a vicenda. Una notte, s’imbarcano come clandestini su una nave diretta a New York per raggiungere la sorella di Celestina, emigrata mesi prima. I due si uniscono ai tanti emigranti italiani in cerca di fortuna in America e sbarcano in una metropoli sconosciuta, che li farà crescere e spaventare, sicuramente li cambierà fino a farli diventare adulti prima del tempo.
Una storia particolare, che rimanda a una riscoperta che sa di indagine gialla, visto che Napoli - New York è tratto da un soggetto di Federico Fellini e Tullio Pinelli, ritrovato in un cassetto. “Il produttore Arturo Paglia ha avuto il merito”, ha detto Salvatores, autore anche della sceneggiatura, “è un ritrovamento che mi commuove, l’idea che nella tribù dei cinematografari ci sia una storia dimenticata scritta dai nostri maestri a cui viene ridata vita. Alla prima parte, a Napoli nel 1949, sono stato molto fedele, usando anche dei dialoghi già scritti, mentre ho cambiato abbastanza la seconda, quella in America, dove Fellini e Pinelli non erano mai stati, almeno nel dopoguerra, quando avevano scritto questo soggetto dal sapore molto neorealista. Aveva troppa fiducia in quel sogno americano che noi sappiamo può diventare un incubo. Del resto, l’hanno scritto quando ci avevano appena liberati”.
Una storia pienamente ancorata su una città e i suoi abitanti, ma soprattutto sul loro spirito. Parliamo di Napoli e dei napoletani. Come ha detto il regista, “con due bambini milanesi non avrei potuto fare questo film. In un’epoca in cui regnano diffidenza e rancore, a volte l’odio, mi piaceva raccontare di solidarietà, ricordando che se guardiamo chi è diverso e lo conosciamo possiamo anche volergli bene. Un film da pianerottolo che spero possa portarci a pensare che possiamo essere migliori di come siamo. Tutti gli attori hanno regalato tanto a questo film, anche lavorando sugli sguardi più che sulle parole. Ci sono lavori poetici, come quello del mio amico Paolo Sorrentino, altri che indagano una storia che ha un inizio e una fine, come in un romanzo. Il cinema è fatto di attori e di una macchina da presa che riesca a cogliere quello che ti danno. Era importante per me farlo a Napoli, dove sono nato. E se sei nato lì te lo porti dietro per tutta la vita. Abbiamo usato scenografie di ambienti ricostruiti fino a cinque metri, dove recitavano gli attori, al di sopra abbiamo usato degli effetti speciali che non vogliono stupire, ma cercare di essere poetici. Come diceva Derrida, critico e psicanalista, ‘il grande potere del cinema è rievocare fantasmi, quelli che abbiamo già dentro ma hanno bisogno del buio e del silenzio, proprio come i fantasmi’.
Al servizio dei due giovanissimi protagonisti, Pierfrancesco Favino interpreta un italo americano che li aiuta nella loro ricerca. “Mi è piaciuto subito come Napoli - New York non pretendesse di dare lezioni”, ha dichiarato l’attore, “a partire dalle pagine trovate in un baule di casa Pinelli, dalla fantasia di chi non era mai stato in quel momento a New York, ma guardava all’America come sogno, attingendo dalla realtà intorno che conosceva come l’immigrazione, usandola con una favola di formazione. Un meccanismo di racconto difficile da trovare oggi. Senza pretendere di fornire risposte, ma in una favola etica che non insegue il sapere storico, ma cerca di mostrare come le persone possano mettersi insieme disposte verso il bene comune, e in questo modo le generazioni future posso compiere scelte diverse dalle nostre e garantirsi un futuro. Una fiaba con alla base una verità che la solidarietà umana rende possibile”.
Un film che ha ricordato ad Anna Ammirati, la moglie di Favino nel film, l'odore "dei biscotti appena sfornati. Quando sono uscita dal cinema, dopo averlo visto, pensavo proprio a questo: ai biscotti appena sfornati dalla nonna o dalla mamma, che sono sempre quelli più buoni. In questi momenti bui, lo possiamo dire, Gabriele ha raccontato questa storia perché ne avevamo bisogno. C'è proprio la necessità di questo tipo di storia, raccontata in questo modo. Anche sul tema delle donne, Anna Garofalo, il mio personaggio, è una donna che arriva a dire ‘se il Padre Eterno non ci aiuta allora siamo noi ad aiutarci’. Troviamo così un altro modo, c’è la speranza, quindi. Napoli - New York fa proprio bene al cuore.