Mon crime, il ritorno alla commedia femminile e con malizia raccontato da François Ozon
Il regista francese François Ozon torna su toni più lievi in una commedia travolgente sulla donna in un contesto oppressivo e patriarcale. Mon crime inaugura i Rendez-vous del cinema francese di Roma e sarà in sala il 25 aprile. Ne abbiamo parlato con il regista.
François Ozon è particolarmente rilassato. Si gode divertito l’eco entusiasta delle presentazioni del suo nuovo film, Mon crime, in sala dal 25 aprile per BIM e stasera film d‘apertura di Rendez-Vous, festival del cinema francese, oltre alle due magnifiche giovani protagoniste del film: Nadia Tereszkiewicz e Rebecca Marder. La prima è reduce dalla vittoria del César come migliore promessa per il toccante e vitale ruolo in Forever Young di Valeria Bruni Tedeschi. L’altra, “lo vincerà l’hanno prossimo”, come dice François Ozon sornione, incontrando alcuni giornalisti a Roma.
Quasi dodici milioni di euro ci sono voluti per ricostruire una Parigi anni ’30 in Art Decò che non esiste più, con puntate nel centro di Bordeaux per trovare il giusto pavé e a Bruxelles, per raccontare la storia di Madeleine Verdier (Nadia Tereszkiewicz), avvenente giovane attrice squattrinata e senza talento, che viene accusata dell’omicidio di un famoso produttore. Con l’aiuto della sua migliore amica Pauline (Rebecca Marder), giovane avvocatessa disoccupata, viene assolta per legittima difesa, dopo aver subito violenza. “Inizia così una nuova vita, fatta di gloria e di successo, fino a quando la verità non viene a galla”.
Dopo molti film drammatici, con Mon crime il regista parigino voleva “tornare alla commedia”, ha confessato, “specie dopo la difficoltà della pandemia cercavo qualcosa di più leggero e ho scoperto questa interessante pièce del 1934 di Georges Kerr e Louis Verneuil, Mon crime, che ho adattato molto liberamente. Ne è venuto fuori il terzo capitolo di una trilogia sulla condizione femminile, iniziata con 8 donne e un mistero e proseguita con Potiche. Abbiamo provato due settimane sul set, come a teatro. Era importante trovare due giovani attrici che portassero sulle spalle il film. Non le conoscevo, ma ho scoperto dopo un casting le migliori della loro generazione, Nadia e Rebecca. Avevano una bella alchimia di coppia e non era facile memorizzare e leggere un testo così fitto in una lingua degli anni ’30 che oggi è desueta. Rebecca Marder è stata facilitata, venendo dalla Comédie-Française”.
In questa frizzante commedia femminile che veicola con tono spassoso una denuncia delle pressioni di un mondo patriarcale, dialogando con l'oggi, non mancano piccoli ruoli interpretati da attori di lusso. C’è Fabrice Luchini, esilarante nei panni di un investigatore di rara stupidità, al terzo film con Ozon, oltre a André Dussolier, Dany Boon e Isabelle Huppert. “Con molti avevo già lavorato”, ha detto il regista, “hanno accettato di mettersi al servizio in ruoli da comprimari di due giovani protagoniste, nonostante l’ego degli attori francesi sia importante, ma sono abituato a gestirlo, mi sono allenato con 8 donne e un mistero. È stato particolarmente spassoso vedere Isabelle Huppert in un ruolo che nella pièce era affidata a un uomo, di cui ho mantenuto la parlata da carrettiere. Proprio lei, simbolo di attrice intellettuale e chic. Mi ha rimproverato che la chiamo sempre per le commedie. Il suo ruolo è ispirato all’attrice francese Sarah Bernhardt, è rimasta ai primi del Novecento, veste come se fosse ancora in scena a teatro. È geniale, Isabelle, non ha paura di niente, non ha paura del ridicolo. Era bello vederla confrontare un’attrice rinomata come lei con due giovani che cominciano, con molta complicità e nessuna rivalità. È stato divertente far interpretare una pessima attrice del muto a una grande attrice come lei”.
La pièce originale ha subito molte modifiche per diventare così femminista, partendo in realtà da un testo “piuttosto misogino, era importante che risuonasse contemporaneo. Affronta temi che lo sono come l’uguaglianza sul posto di lavoro, la condizione della donna sul set. Tematiche che mi stavano a cuore che ho potuto raccontare in chiave di commedia grazie alla distanza di un testo del secolo scorso, se l’avessi ambientata oggi non sarebbe potuta essere una commedia. Sono un grande amante della screwball comedy americana degli anni ’30 e ’40, spesso diretta da registi europei fuggiti dal nazismo come Ernst Lubitsch o Billy Wilder. Ho voluto ritrovare quello spirito. Ho omaggiato il primo film di Wilder, Amore che redime, girato in Francia prima di emigrare negli Stati Uniti. Protagonista era Danielle Darrieux, star dell’epoca dalla recitazione molto moderna che è stata un’icona per generazioni di attrici, e ho avuto l’onore di dirigere in 8 donne e un mistero. Sono due angeli custodi, due numi tutelari di Mon crime”.
Un film che racconta la portata di un movimento come il Me Too con grande finezza e senza pedanteria. “Penso che abbia fatto molto bene, che la liberazione della parole sia importante, nel cinema vige un sistema enormemente gerarchizzato che genera molti abusi. Il film parla di questo, mostra come ogni rivoluzione (anche il femminismo) passa da una fase di eccesso, può scatenare della violenza, basti vedere cosa sta succedendo in Francia in questi giorni. Ovviamente senza aver voluto farne un’apologia del crimine. Negli anni ’30, le donne vivevano in condizioni terribili, non potevano avere un libretto degli assegni, non votavano, per sposarsi dovevano fornire una dote. Le due protagoniste si barcamenano in un contesto patriarcale, circondate da uomini, e riescono a cavarselo con un cammino trasgressivo. Era questo l’aspetto divertente. Ma non volevo sminuire la parola della donna, è fondamentale che vengano credute quando raccontano degli abusi subiti. La protagonista mente solo sull’aver ucciso, non sulla molestia subita. Qui sta la perversità del mio film”.