La Città Proibita: Gabriele Mainetti, Roma e il cinema di fronte alla sfida del futuro
Arriva al cinema il 13 marzo, distribuito da PiperFilm, La Città Proibita, l'atteso nuovo film di Gabriele Mainetti, già regista di Lo chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out, che conferma uno sguardo unico e intelligente sulla città e sulle possibilità del cinema italiano.

Il cinema di Gabriele Mainetti è sempre stato legato strettamente a Roma, la sua città e quella che racconta: la Roma del Tevere in cui cadeva Claudio Santamaria in Lo chiamavano Jeeg Robot e della periferia dove abitava e dello scontro finale al Colosseo; la Roma occupata dai nazisti di Freaks Out, sventrata dalle bombe, ma capace di resistere e risorgere. Adesso, con La città proibita, al cinema dal 13 marzo con PiperFilm, racconta la Roma del rione Esquilino, e non solo perché lì c’è la Chinatown capitolina, ma perché lì c’è quel fermento, quell’incrocio tra culture, popolazioni, tradizioni, sapori e odori che vengono da lontano, dai posti più disparati del mondo, e che si vanno a intrecciare con una romanità verace e antica.
Il titolo del film - che indica anche, ovviamente, la stessa Roma, che Mainetti ha raccontato nel corso di alcune interviste - deriva dal nome di un ristorante cinese nel quale si svolge la sua prima, scatenata e efficacissima sequenza di kung fu, protagonista la Mei interpretata dalla stunt Yaxi Liu, qui ottima nella sua prima prova da attrice, e coreografata con la consulenza di Liang Yang, uno che ha messo la sua competenza marziale al servizio di film come Mission: Impossible - Fallout e Dead Reckoning, di Star Wars: Gli ultimi Jedi, di Doctor Strange e di Deadpool & Wolverine, giusto er citarne alcuni.
È il ristorante dal quale poi Mei fugge per poi ritrovarsi in una via dell’Esquilino, per la precisione via Pellegrino Rossi, dove è stato ricreato il locale negli spazi dove un tempo c’era lo storico MAS - Magazzini allo Statuto, e dove oggi invece c’è una nuovissima accademia di costume e moda.
Sotto i portici di piazza Vittorio sta invece il ristorante dove lavora, in cucina, il Marcello di Enrico Borello, e a pochi metri di distanza, sempre sotto al portico, c’è il portone del palazzo dove abita sullo stesso pianerottolo della mamma Sabrina Ferilli, che poi è anche lo stesso palazzo dove, fino a poco tempo fa, vivevano davvero sia Matteo Garrone che Paolo Sorrentino. E poi ancora si riconoscono chiaramente, in La città proibita, via Carlo Alberto e via di San Vito, e il campanile di Santa Maria Maggiore, i giardini di Piazza Vittorio e tutta quell’atmosfera multietnica, colorata e vitale che è la vera anima del Rione (dove peraltro è attiva un'associazione sportiva che si chiama Kung Fu Esquilino).
La città proibita: il trailer del film di Gabriele Mainetti
Leggi anche
La città proibita, la recensione: i noodles all'amatriciana di Mainetti sono un grande sì
Mentre girava, Mainetti, c’era chi si lamentava: ancora questi der scìnema, dicevano, co’ tutti ‘sti camion che tolgono i parcheggi, dicevano, e noi la maghina dove la mettemo, brontolavano. Dopo aver visto il film, è facile immaginarsi quelle lamentele pronunciate dai personaggi che sono interpretati da Marco Giallini, o Sabrina Ferilli, o Luca Zingaretti, che Mainetti ha tratteggiato con cura, amore e attenzione come appunto emblemi di una Roma che forse sta svanendo, e che comunque fa fatica ad adattarsi alle trasformazioni della città, di una città che per Mainetti è importante, fondamentale, e che ha voluto raccontare per com’è, com’era e come potrebbe essere, sotto una luce nuova e dinamica, che non perde di vista le esigenze dell’immagine anche turistica, ma che è in grado di andare ben oltre la superficie di una cartolina.
Perché, come forse avrete già capito, e letto, magari nella nostra intervista a Mainetti, o nella recensione del film, certo: l’intenzione del regista era di fare di La città proibita un avvincente film di arti marziali (e c’è riuscito), ma nel farlo ha anche voluto raccontare una storia d’amore che non è solo quella tra una ragazza cinese e un ragazzo romano, ma anche la storia di un amore che, con la sua forza propulsiva, aiuta Marcello a uscire dalla sua cucina, dalle sue abitudini, da una situazione che ha fatto diventare la tradizione una prigione, e a abbracciare il futuro, il cambiamento, senza mai abbandonare la sua identità.
È anche per questo, oltre che per il suo essere un film d’azione spettacolare, una commedia divertente e brillante, un melodramma familiare e una storia d’amore, che La città proibita è una scommessa vinta a mani basse da Gabriele Mainetti: perché quello che racconta, attraverso lo specifico di una storia e di personaggi che non vengono mai messi in secondo piano rispetto a nessun quadro generale, sono anche le ricchezze e le sfide di un mondo e di un cinema che cambiano, si trasformano e evolvono, e che devono guardare al domani con coraggio e determinazione, per inventarsi un futuro dove il vecchio e il nuovo possono convivere in elegante e gustosa armonia.