Il Trento Film Festival, dal western di montagna alla passione per Messner: incontro con Mauro Gervasini
Folle da rockstar per Messner ma anche sguardi cinefili e western. Fra documentari e cinema di finzione, il Trento Film Festival è sempre più al centro di temi di stretta attualità come il rapporto con la natura. Ne abbiamo parlato con il responsabile del programma cinematografico Mauro Gervasini.

Dal deserto ai boschi in alta quota, la geografia del genere nazionale americano, il western, è ben più ampia di quanto il luogo comune, polveroso e arido, lo abbia sempre identificato. Western di montagna è una delle sezioni più interessanti e originali di questa edizione, la 73esima, del Trento Film Festival. Escursioni mirate e di qualità in un territorio affascinante che si discosta rispetto alle atmosfere più tradizionalmente alpinistiche della manifestazione. Al secondo anno come responsabile della programmazione cinematografica, Mauro Gervasini ci racconta come ha costruito i percorsi di visione di questo 2025, dal concorso alle anteprime.
Sembra che negli ultimi anni sia stato il mondo ad andare verso il Trento Film Festival, più che il contraro. Un paradosso ma, fra la pandemia e l’attenzione per il rapporto con la natura e il cambiamento climatico, è sempre più attuale la tematica principale al centro del festival, che sembra sempre meno confinato a una nicchia di settore.
È una questione impegnativa, diciamo che sono arrivato in punta di piedi, perché il festival ha una tradizione estremamente consolidata, con delle radici robustissime, grazie al lavoro del mio predecessore, Sergio Fant, che ha avuto l'incarico della direzione artistica per ben 14 anni. Ci sono arrivato da appassionato di montagna e ovviamente da professionista nel campo del cinema. Ma il cinema di montagna è una cosa diversa, avevo i due elementi ma non la sintesi, mi sono dovuto applicare e studiare molto, con l'aiuto per fortuna di persone che soprattutto nel campo alpinistico mi hanno aiutato. È stata la tappa fondamentale dell'anno scorso, il mio primo. Quest’anno ho cercato di mettere a frutto quanto imparato. Quello che posso dire, almeno dal punto di vista teorico, è che il cinema di montagna è estremamente sottovalutato da chi pensa di essere un grande esperto di documentario, che pensa sia una cosa solo settoriale, invece alcune delle innovazioni nel campo del documentario, come il cosiddetto “found footage”, sono state utilizzate per la prima volta dai documentari di montagna. Parliamo di un periodo tra gli anni 50 e 60 del secolo scorso. C’è stata una grande ricerca senza finalità teoriche, ma narrative. L'altro giorno Reinhold Messner ha detto una cosa molto bella, l’alpinismo, quindi non il cinema alpinistico, è fatto di azione e di narrazione. Il Trento Film Festival ha il compito della narrazione, quindi per noi è una grande sfida.
Poi c’è la questione del come narrare, la forma utilizzata
Ci sono dei lati negativi, effettivamente, per esempio il fatto che, con le innovazioni tecnologiche che ci sono state, chiunque può fare un film. Basta andare a una scampagnata, girare qualcosa e si pensa di poter fare un film. Poi ormai non esiste quasi cinema di alpinismo senza l’uso del drone o delle GoPro. A questo punto la nuova sfida è rendere interessante da un punto di vista estetico l’uso di questi strumenti. Abbiamo presentato Nella pelle del drago di Katia Bernardi, in cui c’è un uso egregio del drone, per nulla banale. Ieri abbiamo presentato Qivitoq, ambientato in Groenlandia, paese quantomai sugli scudi, di Walid Berrissoul, in cui l’utilizzo del drone è parco, ma fatto con grande intelligenza. In molti casi, invece, lo si usa sempre allo stesso modo, con il drone che arriva, inquadra la vallata oppure la cima e comincia a svolazzare con la musica. Bisogna cercare di mediare il lavoro di selezione anche per questo.
Ci parli della sezione che ha ideato, dedicata al western di montagna, che amplia la memoria storica del cinema di alta quota, dimostra come sia di casa da decenni in tante culture diverse. Ricordo di aver visto qui tante cose ambientate in Patagonia, in Sud America, fra i gaucho.
Tanto per dire, in concorso abbiamo Donde los árboles dan carne, che è ambientato nella Pampa. Il Western di Montagna è una cosa che, da appassionato del genere, mi premeva fare. L'idea è venuta insieme a Gianluigi Bozza, è uno dei miei collaboratori che collabora storicamente con il festival, anche lui appassionato di western, che mi ha detto un giorno, ma perché non proiettiamo I compari di Robert Altman, che in fondo è ambientato tutto sulla neve? Allora lì ho cominciato a pensare, perché non proviamo questa carta? E abbiamo fatto un programma con sei western. La punta di diamante secondo me di questa proposta è L'ultimo dei Mohicani del 1920, quindi muto, con l'accompagnamento musicale. Non vuole essere assolutamente esauriente come ciclo, però abbiamo anche Terra lontana di Anthony Mann, Sfida nell'Alta Sierra di Sam Peckinpah, Corvo rosso non avrai il mio scalpo! di Sydney Pollack, e poi si è aggiunto in coda Stringi i denti e vai di Richard Brooks, che è anche un omaggio a Gene Hackman.
Nella relazione continua che c’è qui a Trento tra cinema di finzione e documentario, come si fondono gli spettatori che amano il cinema e quelli che amano la montagna?
Bisogna essere realistici, il Trento Festival ha un suo pubblico consolidato che viene soprattutto per vedere i documentari di montagna
Per cui la star assoluta è Messner
Il film che abbiamo presentato quest’anno, K2 La grande controversia, di Reinhold Messner, e ci tengo a sottolinearlo, è stato sicuramente, anche in termini di richiesta di partecipazione, l'evento del festival. È questo il cinema che interessa maggiormente al pubblico del Trento Film Festival, ma questo non vuol dire che ci si debba limitare a quello. Non faccio nessuna gerarchia nella scelta dei film che, a partire da K2, mi hanno estremamente appassionato anche da un punto di vista cinematografico. Però come si può fare un festival di montagna di soli documentari? Per esempio, e lo dico col cuore in mano, considero il film di finzione che chiude il festival, Vingt dieux, uno dei più belli dell'anno. Per fortuna non lo dico solo io, è stato a Cannes e ha vinto il César come miglior opera prima. Lo trovo veramente incantevole, è un film che uscirà in sala in Italia per Movies Inspired. È una storia bellissima, e chi è al festival l'ultima sera, il 3 maggio, non può perderlo. Non rinunceremo mai ai film di finzione, partendo dal presupposto che questo è soprattutto un festival di documentari.