Il tempo è denaro: come In Time stravolge il senso del tempo
Quante volte diciamo “non ho tempo”? E se il tempo che ci restasse da vivere fosse visibile sul nostro braccio, contato al secondo, e dovessimo pagare ogni acquisto con minuti di vita?

- È possibile un mondo in cui si paga con i minuti?
- Il tempo come divisione in classi sociali
- Un protagonista in lotta contro il sistema
- Quando il linguaggio riflette il senso del tempo
- La critica al sistema capitalistico
Questa non è solo un’idea distopica: è il mondo di In Time, film del 2011 diretto da Andrew Niccol, che immagina un futuro dove il tempo non è solo una misura, ma una valuta universale. E in fondo, questa visione non è poi così distante dalla realtà.
È possibile un mondo in cui si paga con i minuti?
Nel mondo di In Time, ogni persona smette di invecchiare a venticinque anni. Da quel momento in poi, la vita di ciascuno dipende dal tempo che riesce ad accumulare. Un timer digitale verde impresso sul braccio segna il conto alla rovescia della propria esistenza. Quando il tempo finisce, la vita termina. Per vivere bisogna guadagnare tempo o… rubarlo. Ogni azione quotidiana – bere un caffè, prendere un autobus, pagare l’affitto – ha un costo in minuti o in ore. Il tempo è letteralmente denaro.
Il tempo come divisione in classi sociali
Questa visione, tanto semplice quanto disturbante, consente al film di costruire una società gerarchica e spietata, divisa in “zone orarie” in base alla ricchezza temporale degli abitanti. Chi possiede poco tempo è costretto a vivere nei quartieri più poveri, dove ogni secondo conta e la frenesia diventa una condizione obbligata. Al contrario, chi ha accumulato secoli di vita abita in zone lussuose e sorvegliate, dove tutto è rallentato, dilatato e sicuro. I ricchi possono permettersi di coprire il loro orologio con lunghi guanti, ignorando il tempo che scorre; i poveri, invece, sono costretti a fissare costantemente il loro timer, contando ogni ora, e a volte ogni minuto, che resta loro.
Più si è ricchi, più ci si può permettere di rallentare. Più si è poveri, più si è costretti a vivere in fretta.
Un protagonista in lotta contro il sistema
Il protagonista, Will Salas, interpretato da Justin Timberlake, si sposta tra le zone povere dove il tempo scarseggia, e quelle lussuose, dove, invece, il tempo sembra non finire mai. Quando Will si ritrova con un’enorme quantità di ore da vivere, si scontra con un sistema che sembra impossibile da abbattere. La sua lotta per liberare il tempo, rendendolo una risorsa uguale per tutti, lo catapulta in un’avvincente avventura.
Quando il linguaggio riflette il senso del tempo
Il tempo non è solo una moneta, ma diventa anche parte centrale del linguaggio. I personaggi usano espressioni che rendono tangibile il concetto di tempo.
“Mi presti un’ora?” diventa una domanda quasi banale, come se chiedere in prestito dei soldi fosse la stessa cosa. Ogni scambio, ogni conversazione e ogni gesto sono pervasi da questa consapevolezza: ogni momento conta, e ogni parola potrebbe nascondere una richiesta di vita o di morte.
La critica al sistema capitalistico
Il film si configura così come una critica incisiva al sistema capitalistico. Sebbene la metafora del tempo come valuta possa sembrare estrema, colpisce nel segno poiché riflette una verità inquietante: ci mostra senza filtri le disuguaglianze e le differenze nell’accesso alle risorse che esistono nella nostra società.
In Time non è un film perfetto, ma riesce dove molti altri film di fantascienza falliscono: ci costringe a guardare il presente con occhi nuovi. Ci obbliga a farci una domanda semplice ma potente: quanto vale davvero il nostro tempo? E per cosa lo stiamo spendendo?