Il Giustiziere della Notte: tutti i film della saga da Charles Bronson a Bruce Willis
La storia dei film sull'uomo dal grilletto facile, inaugurata dal primo Death Wish del 1974 con Charles Bronson.

- Il giustiziere della notte – 1974
- Il giustiziere della notte 2 – 1982
- Il giustiziere della notte 3 – 1985
- Il giustiziere della notte 4 – 1987
- Il giustiziere della notte 5 – 1994
- Death Sentence: il sequel tratto dal secondo libro di Brian Garfield - 2007
Come molti ricorderanno, c’è voluto parecchio tempo e una gestazione di anni perché Il giustiziere della notte tornasse al cinema nel 2018, in una versione con Bruce Willis - purtroppo non del tutto convincente – diretta da Eli Roth.
Prima di lui si erano avvicendati come probabili registi Joe Carnahan, di cui resta la sceneggiatura, il messicano Gerardo Naranjo e gli israeliani Aharon Keshales e Navot Papushado. Ma il reboot di un film del genere, per quanto divertente e con alcune belle sequenze, non poteva avere ovviamente il significato del capostipite dei vigilante movies, che ha dato vita in epoca moderna a revenge movies ben più sanguinari e violenti. Rivediamo insieme la saga originale, per capire cosa avevano queste pellicole (almeno le prime due) di diverso.
Il giustiziere della notte – 1974
Dopo le pretestuose polemiche che avevano accompagnato tre anni prima l'uscita del film premio Oscar Il braccio violento della legge, arriva sugli schermi americani Il giustiziere della notte (Death Wish), che viene di nuovo (e decisamente a maggior ragione) attaccato in accesi dibattiti con l'accusa di essere un inno al fascismo e alla giustizia fai da te, in un tempo in cui i privati cittadini non si fidano della polizia. Ma facciamo un passo indietro: il film è tratto da un romanzo pubblicato nel 1972 dallo scrittore Brian Garfield, che racconta la storia di un tranquillo commercialista newyorkese che si trasforma in vendicatore quando la moglie e la figlia vengono attaccate in casa da criminali: la prima muore e la seconda resta in stato vegetativo. Parte così la crociata del cittadino Paul Benjamin (Kersey nel film) per ripulire la città dalla feccia che la polizia non riesce ad arrestare. A dirigere l'adattamento cinematografico è un placido, paffuto e benestante cittadino britannico, Michael Winner, all'epoca già autore di una ventina di film di generi diversi. Nel 1970 ha diretto il western Chato e ha stretto amicizia col suo protagonista, Charles Bronson, l'uomo dal volto di pietra, che dirige di nuovo in Professione assassino e L'assassino di pietra. Non può essere che lui il giustiziere della notte (trasformato in ingegnere progettista di complessi residenziali) nel film prodotto da Dino De Laurentiis.
Dopo l'uscita, Winner è ospite di talk show dove viene messo letteralmente in croce dalle femministe e attaccato per la carica misogina del suo film. In realtà Il giustiziere della notte è tutt'altro che da buttare: intanto per gli alti valori produttivi e per la cura estrema in ogni reparto, dalla fotografia agli attori (oltre a un grandioso, iconico Bronson, nel ruolo dell'ispettore c'è il grande caratterista Vincent Gardenia), alla colonna sonora di Herbie Hancock. È, soprattutto, un film che rispecchia la New York del periodo, sporca, innevata, feroce e selvaggia. All'epoca il tasso di crimine nella città è altissimo a causa delle gang, dei tossici e degli spacciatori, tanto che nel 1973 gli omicidi sono ben 1680 (per darvi un'idea, nel 2019 sono stati 299). Nel Giustiziere della notte uno dei tre balordi che assalgono moglie e figlia di Kersey è il ventenne Jeff Goldblum e nel finale debutta nei panni di un poliziotto il giovanissimo Christopher Guest. La giustizia privata del Paul Kersey di Bronson non era solo rivolta alla ricerca e all'annientamento degli uomini che gli avevano fatto del male con tanta ferocia: la vendetta era secondaria rispetto alla riscoperta del mito della frontiera (la sua arma era una Colt d'epoca) e dell'azione primitiva, che dopo il malessere iniziale gli dava soddisfazione, perché sparando a balordi armati di coltello si liberava della patina di civiltà che lo aveva indotto a rinnegare gli insegnamenti del padre e a dichiararsi obiettore di coscienza. Il bel finale beffardo del film verrà ripreso nel reboot del 2018.
Il giustiziere della notte 2 – 1982
Nonostante il successo mondiale del primo film, il sequel non è immediato e Il giustiziere della notte 2 arriva al cinema solo 8 anni dopo. Nel frattempo Brian Garfield, scontentissimo dell'adattamento, scrive un sequel del suo romanzo, “Death Sentence”, dicendo del suo protagonista: “ne hanno fatto un eroe, mentre credevo di aver dimostrato che era diventato un uomo molto malato”. A produrre il sequel, che non tiene conto del libro di Garfield, sono Menahem Golan e Yoram Globus, i due intelligenti e spregiudicati produttori israeliani proprietari della Cannon Films, uno Studio specializzato in action. Nel cast entra anche l'amatissima moglie di Bronson, la splendida Jill Ireland, che nella storia diventa il suo nuovo amore. Nel sequel Paul è alla caccia degli assassini della figlia e le sue capacità aumentano: adesso non sono solo le armi a dargli la superiorità sui criminali ma anche una maggiore potenza fisica. L'azione da New York si sposta a Los Angeles. Stavolta Michael Winner scrittura un altro gigante per la colonna sonora: il chitarrista dei Led Zeppelin, Jimmy Page, che è anche suo vicino di casa. Stavolta il film è chiaramente un exploitation che cerca sfacciatamente di ripetere il successo del primo in modo più gratuito, anche se non mancano dei buoni moment. La critica, tutto sommato benevola col primo, lo odia: Roger Ebert, che aveva dato 3 stelle su 5 al primo film, gliene dà zero, sottolineando che sono quelle che dà ai pochissimi film che sono “sia artisticamente insignificanti che moralmente ripugnanti”.
Il giustiziere della notte 3 – 1985
È l'ultimo film della serie diretto da Michael Winner, e riporta l'azione a New York. Stavolta Kersey è spalleggiato segretamente dal capo della polizia (Ed Lauter) che, come molti privati cittadini, vede in lui l'uomo che può ripulire la città dalla feccia criminale delle gang (perché la polizia, si sa, ha le mani legate). Per riprendere il ruolo Charles Bronson ottiene un milione e mezzo di compenso su un budget di 10 milioni. Inizialmente però rifiuta e la parte viene offerta a Chuck Norris, che a sua volta declina perché trova la violenza del film “troppo negativa”. Il tasso di scene violente e di assurdità sale ancora in questo terzo film. Ebert aumenta a una stella il suo voto, sostenendo che rispetto al secondo questo è migliore per azione, regia ed effetti speciali anche se il risultato è comunque misero. Rivisto oggi, è tutt'altro che da buttare, un guilty pleasure fatto e rifinito.
Il giustiziere della notte 4 – 1987
Alla regia del quarto film della serie subentra un altro regista inglese, J. Lee Thompson, noto per film come I cannoni di Navarrone e Il misterioso caso Peter Proud, che nella sua carriera ha diretto altre sei volte Charles Bronson. Stavolta a reclutare Paul Kersey contro gli spacciatori, dopo che la figlia della sua ragazza è stata uccisa da un'overdose, è un editore di tabloid. Il budget del film è minore e anche la sua diffusione. La sceneggiatura vede Kersey mettere due gang una contro l'altra e trae ispirazione da La sfida del Samurai di Kurosawa e dal remake western di Sergio Leone, Per un pugno di dollari. Bronson è invecchiato e stanco, ma i soldi gli servono, perché purtroppo la sua Jill sta combattendo una lunga e accanita battaglia - che purtroppo perderà nel 1990 - contro un nemico assai peggiore di quelli che affronta il marito sullo schermo, il cancro. Il film è comunque più ricco di venature umoristiche dei precedenti e tutto sommato viene apprezzato. Nonostante sia costato meno di 5 milioni di dollari, però, non ne incassa nemmeno 7, contribuendo al fallimento imminente della Cannon.
Il giustiziere della notte 5 – 1994
E veniamo all'ultimo dei sequel realizzati sotto il titolo Death Wish, che arriva ben 20 anni dopo il primo film, quando il cinema ormai è impregnato di una violenza assai superiore a quella dell'epoca in cui tutto ebbe inizio. È, purtroppo, anche il canto del cigno e l'ultimo ruolo cinematografico per quell'attore tanto amato, bravo e popolare che è stato Charles Bronson e che ha raggiunto ormai i 73 anni. Stavolta il giustiziere se la vede addirittura con la mafia e deve proteggere la sua ragazza (Leslie-Anne Down) dal suo ex, il boss Tommy O'Shea. La regia stavolta è di uno sconosciuto regista canadese, Allan A. Goldstein. La Cannon nel frattempo si è dissolta e Menahem Golan ha dato vita alla 21st Century Film Corporation, che produce action a bassissimo budget senza guardare troppo per il sottile. Bronson stavolta chiede di rendere il suo personaggio meno violento e più simpatico. Di fatto questo è l'unico film della serie a non contenere alcuna scena di stupro, pur avendo la sua bella dose di violenza. Tre giorni dopo l'uscita in California, il terremoto mette fine ai sogni di gloria dei produttori. Il quinto Death Wish incassa pochissimo, anche se continua la sua vita in video. Nonostante tutto Golan ha in progetto un altro sequel, ma anche la 21st Century fallisce, e si chiudono definitivamente, fino al reboot del 2018, i battenti sull'epopea cinematografica del vigilante Paul Kersey. Ma, prima, c'è un'altra importante postilla.
Death Sentence: il sequel tratto dal secondo libro di Brian Garfield - 2007
L'autore del romanzo da cui è tratto Il giustiziere della notte, Brian Garfield, è così scontento del film che nel 1975 scrive, come vi abbiamo detto sopra, un secondo libro intitolato “Death Sentence”. 32 anni dopo è James Wan, famoso per gli horror Saw e Saw III, a portarlo sullo schermo con Kevin Bacon come protagonista, John Goodman e Kelly Preston. Death Sentence è un film poco visto e in Italia inedito, che vi consigliamo di recuperare online. Questo il giudizio di Garfield sul film, che si ispira liberamente al suo romanzo: “Anche se avrei preferito un po' di caos e violenza in meno, credo che sia un film davvero ottimo. Nei dettagli della storia è piuttosto diverso dal romanzo, ma del resto è un film, non un libro. Nel suo modo cinematografico tocca il pubblico ed è fedele al significato del romanzo, e quelle sono le cose che contano. Credo che, con l'eccezione della sua assurda violenza verso la fine, Death Sentence dipinga il declino del suo personaggio e la stupidità della vendetta privata. Come storia ha detto quello che volevo dicesse”. L'autore è morto nel 2018 e non si è potuto esprimere sul reboot di Eli Roth.