Il fantasma di Jean-Luc Godard sul Festival di Cannes 2023
Nella sezione Cannes Classics è stato programmato un omaggio al grande regista morto nel settembre 2022. Lo compongono il restauro di Il disprezzo, un documentario intitolato Godard par Godard, e il corto postumo Film annonce du film qui n’existera jamais: «Drôles de Guerres». Federico Gironi ha visto il doc e il corto per noi.
Certo, ovunque ti giri a Cannes t’imbatti nella la bellissima foto di Catherine Deneuve scelta come immagine ufficiale della 76esima edizione del Festival. Ma a incombere davvero sul festival con la sua lunga ombra, quest’anno come tante altre volte in passato, è un altro grandissimo. Il fantasma di un altro grandissimo. Di un altro inarrivabile, più inarrivabile ancora della divina Deneuve. L’ombra sorniona di Jean-Luc Godard.
Godard che non è stato solo un regista, ma un mito, una leggenda. Anche in vita. Leggenda alimentata dallo stesso Godard con il suo cinema, certo, ma anche con le sue interviste, le sue polemiche, le sue sparizioni.
Piaccia o non piaccia - ed è francamente impossibile che nella lunghissima filmografia di Godard non si sia almeno qualcosa che piaccia - Jean-Luc Godard quel mito se lo è meritato. Perché Godard era un genio.
Un genio che magari il suo genio, la sua intelligenza e la sua straordinaria creatività le sbatteva in faccia allo spettatore, o all’interlocutore, in modi che possono oggi (ma anche allora) essere ritenuti discutibili; ma, ciò nondimeno, un genio.
Dice François Truffaut, nel documentario Godard par Godard che è stato parte dell’omaggio al regista organizzato all’interno della sezione Cannes Classics, che Fino all’ultimo respiro è stato con Quarto potere il miglior esordio della storia del cinema tutta. Io, per dire, penso che Fino all’ultimo respiro sia migliore, e più influente, e più radicale nel passo avanti fatto fare al cinema come arte e come linguaggio, anche del film di Welles.
Ecco: può non piacere Godard, ma non può non piacere Fino all’ultimo respiro.
Non possono non piacere quei primi film che precedono la prima della tante trasformazioni che il cinema di Godard ha vissuto nel corso degli anni, quella politica, che anche nel documentario visto qui a Cannes - in quella che più volte è stato sottolineato essere stata la sala preferita di Godard, la Debussy - viene fatta coincidere con la realizzazione di La cinese. La svolta politica, insomma. Quello scritto da Frédéric Bonnaud, direttore della Cinematheque Francaise, e diretto da Florence Platarets, è un documentario molto semplice e diretto, molto poco godardiano se vogliamo, che attraverso il montaggio di sole immagini di repertorio - film, backstage, interviste - ricostruisce la straordinaria carriera di questo autore: dopo la svolta politica, il percorso sperimentale e il suo auto esilio, il ritorno a un cinema più comprensibile e alla scena pubblica, il ritorno a Cannes, la torta in faccia, il Leone d’oro - il primo premio arrivato incredibilmente tardi, e grazie all’amico Bernardo Bertolucci - per Prenom Carmen, e poi tutto il resto.
Compresa, ovviamente, la sempre crescente ossessione per il senso dell’immagine, per il limite del linguaggio (anche cinematografico), e per le strategie per superare e approfondire.
Semplice e diretto, Godard par Godard, ma tutt’altro che trascurabile, anzi direi importantissimo, specie per la capacità che ha di fare - silenziosamente, discretamente - un ritratto che non è solo del Godard regista, ma anche del Godard uomo.
Un uomo intelligentissimo, sprezzante, spigoloso, provocatorio, che rifiutava ogni ipocrisia delle interazioni umane fino a rasentare l’arroganza e la maleducazione. Ma anche un uomo che, invecchiando, mostrava - prima del suo definitivo ritiro dalla scena pubblica - segni di leggerissimo ammorbidimento.
Come parte dell’omaggio a Godard, che comprendeva anche la proiezione del Disprezzo in versione restaurata, dopo il documentario Godard par Godard è stato proiettato anche l’atteso Film annonce du film qui n’existera jamais: «Drôles de Guerres», il cosiddetto "cortometraggio postumo" del regista.
Ecco, questi venti minuti, venti minuti di cartelli fissi (con un solo breve intermezzo filmato), collage realizzati su cartoncini A5 dallo stesso Godard con testi e foto, presentati con un audio di sottofondo, che sono ipoteticamente la bozza di quello che sarebbe potuto diventare un film, io non l’avrei mostrati.
Non perché non contengano cose molto interessanti, ma perché chiaramente un work in progress che, a vederlo così, ora, manca di quella messa a punto finale che solo lui, JLG, avrebbe potuto garantire.