Il complottista con un’anima: intervista a Valerio Ferrara sulla sua opera prima
Una specie di complottista di quartiere alle prese con dinamiche in famiglia e la voglia di spararla sempre più grossa, ma raccontato nella sua umanità in chiave di commedia all’italiana dall’esordiente Valerio Ferrara. Incontro con il regista de Il complottista, dal 2 aprile in tour per l’Italia per PiperFilm.

In principio fu un cortometraggio, vincitore de La cinef al Festival di Cannes. E ora ecco affacciarsi nelle sale italiane per PiperFilm, in tour da oggi 2 aprile per le prossime settimane, Il complottista, in cui Valerio Ferrara, classe ’96, ha sviluppato la storia nel suo primo lungometraggio. Un film prodotto da Elsinore e Wildside, scritto dal regista insieme a Alessandro Logli e Matteo Petecca, con protagonisti Fabrizio Rongione (sei film con i fratelli Dardenne), Antonella Attili, Antonio Gerardi, Roberto De Francesco e Ernesto Mahieux.
Il Complottista racconta di Antonio, un barbiere che condivide con clienti e vicini di negozio le teorie che legge online. A casa e nel quartiere nessuno lo prende sul serio, tanto meno quando si convince che i lampioni mandano dei messaggi segreti con il codice Morse. Ma, quando si presenta la polizia alla sua porta e lo arresta di fronte alla famiglia, la sua credibilità prende una svolta inaspettata.
“il corto è stato il mio saggio di diploma del Centro sperimentale”, ci racconta Valerio Ferrara in un’intervista telefonica. “Di grandi complotti ne abbiamo visti di tutti i tipi, anche nel cinema italiano, mentre girando mi sono reso conto che quello dei complottisti, intesi come esseri umani, era un mondo inesplorato. C’era tanto potenziale che poteva essere raccontato, quindi poi abbiamo sviluppato il lungometraggio a partire dal corto.
La chiave che hai scelto è quella della commedia di caratteri, che rimanda all’epoca d’oro del genere in Italia. È il tono con cui ti piace raccontare storie?
Assolutamente sì, mi piace tantissimo, hai centrato in pieno. Sono cresciuto con il grande cinema italiano, in particolare la commedia all’italiana, in cui venivano spesso raccontati personaggi che nella società sono visti come negativi, come dei mostri. Ho pensato che forse il complottista sia il mostro di oggi, visto socialmente come un pazzo negativo, almeno nella sua versione più estrema, deriso per le sue teorie, ma anche strano, per l’appunto un mostro. La mia idea era di concentrarmi su questo personaggio ma in una chiave più umana, mostrandone le fragilità, quello che la nostra grande commedia ha sempre fatto. Penso su tutti a Gassman nel Sorpasso, un personaggio sulla carta molto negativo, ma che poi comprendi in tutti i modi, provando tenerezza nei suoi confronti, nonostante il finale tragico e amarissimo. Questa era la direzione che volevamo dare al film, dopo un’apertura sui toni della commedia più scanzonata, con le battute che ti aspetti che un complottista possa fare. Ti prepari a un film stereotipato, ma andando avanti lo umanizziamo. La chiave era empatizzare con un personaggio che su carta tendi ad allontanare, rendendolo accessibile a ogni tipo di pubblico. Dalle prime anteprime mi sembra che il pubblico entri in sintonia con lui, prima di un finale abbastanza amaro.
È anche una richiesta di aiuto da parte di una figura che conosciamo per la sua proiezione pubblica, e invece tu inserisci all’interno di una realtà intima, con il bel rapporto, apparentemente duro ma tenero e di presa in giro, con la moglie.
Il racconto del complottista visto dalla sua famiglia, oltre a quello sociale, è venuto proprio da un serie di incontri, dallo zio che non vedi da tempo ad altre dinamiche simili. Non a caso è un barbiere, una figura inserita nella società, ma del resto il complottista può essere chiunque. Lo mostriamo nel suo intimo, e il rapporto con la moglie è il nodo centrale, quello più drammatico e imprescindibile.
Come mai la scelta di Fabrizio Rongione, forse per mettere in risalto ancora di più la sua alienazione rispetto al contesto, lui che viene da un cinema belga e francese autoriale e spesso drammatico?
È il primo film della sua carriera lunga oltre vent’anni in cui fa una commedia da protagonista. Ha fatto solo drammi o piccole partecipazioni in commedie, anche se a teatro fa spettacoli comici d’attualità. È stato in scena a Bruxelles per un mese con uno spettacolo divertente, tutto esaurito, su una dinamica di vita reale successa a Cassino, cittadina da cui è originario. Rongione ha questa doppia anima. Non lo sapevo, ma volevo oppormi all’idea di prendere attori legati a un genere, quindi per forza comici per un film di commedia. È stata una scelta anticonvenziale. Lui mi è piaciuto molto per la sua capacità di rappresentare l’uomo comune. Ha una facilità di confondersi con la folla che mi piaceva, per sottolineare che il complottista può essere chiunque e non solo qualcuno con gli occhi da pazzo. Una persona che prova a vedere oltre quello che la realtà gli pone davanti, spesso nella realtà di vite ordinarie noiose e non soddisfacenti.
Delle tre fasi di realizzazione di un film, la scrittura, il set con la parte tecnica e la direzione degli attori, e il montaggio, una riscrittura più solitaria, qual è quella in cui ti trovi più a tuo agio?
Ce n’è anche una quarta non da poco, quella dell’uscita e della promozione, di cui nessuno ti parla prima. Un mondo con delle regole, molto complesso, in cui devi essere pronto a metterti in gioco, che non sapevo come funzionasse. Come promuovi un film cambia molto il suo destino poi in sala. Il nostro è un piccolo esordio, ma dallo spirito popolare, quindi una commedia fatta per arrivare al pubblico più ampio possibile. Le opere prime di solito sono in antitesi con quanto ho appena detto, film non popolari che non arrivano a nessuno. È stato un progetto su carta molto ambizioso, ci siamo divertiti a ideare delle scelte promozionali originali, come una pagina falsa di complotti che ha raggiunto un milione di persone. Alcune delle teorie che abbiamo diffuso sono diventate virali, come quella di Massimo Ranieri rettiliano perché è salito sul palco di Sanremo con un occhio rosso. La gente ha voglia di fantasticare su quello che succede attorno a noi, più gli eventi sono complessi e poco trasparenti più lo fa. Esempi di come anche la promozione possa essere una fase molto creativa. Fra le tre fasi mi piace molto la scrittura, sono sempre finora stato autore delle sceneggiature, ma la regia è quella che mi diverte di più. Fosse per me starei sempre a girare. Il montaggio de Il complottista è stato poi molto lungo, come dicevi tu è una fase più solitaria, in cui finisce il grande movimento del set con tante persone e cose da fare in parallelo. Pensate che abbiamo girato in quattro settimane e mezzo, in sessanta location e con quaranta attori coinvolti.