Danny Boyle: "Non rifarei oggi The Millionaire, lo lascerei a un giovane regista indiano"
Intervistato dal Guardian sull'onda del suo 28 anni dopo, il regista Danny Boyle riflette su come sia cambiata negli anni la consapevolezza delle identità: oggi non metterebbe piede nella cultura indiana con tanta disinvoltura, come fece con The Millionaire. E per lui è giusto così.

Il regista Danny Boyle è appena tornato anche nelle nostre sale con 28 anni dopo, sequel del suo horror cult 28 giorni dopo (2002): sperimentatore e moderno, l'uomo che diede una scossa al cinema con Trainspotting ha riflettuto in un'intervista con The Guardian su come il settore si sia modificato nel corso dei decenni, dal suo esordio di trent'anni fa. Non si tratta però di una recriminazione: alcune sensibilità si modificano e si deve prenderne atto, senza fare ammenda, ma semplicemente constatando che le sfide e le scelte di un creativo devono tenere conto del mondo in mutazione continua. E ha fatto l'esempio di The Millionaire, uno dei suoi più grandi successi. Leggi anche Danny Boyle potrebbe fare pace con la saga di James Bond? "Quel treno è ormai passato" - dice lui
Danny Boyle e l'appropriazione culturale indiana: "Rimani sempre un outsider"
Danny Boyle con 28 anni dopo è rimasto in Inghilterra, anche se nella sua carriera non si è posto limiti a viaggiare persino nello spazio (Sunshine), a chiudersi in un canyon (127 ore)... o ad abbracciare Bollywood, girando in India The Millionaire (2008), otto premi Oscar tra cui quello alla migliore regia: la storia fiabesca del ragazzo indiano povero Jamal (Dev Patel), che cercava il riscatto col quiz Chi vuol essere milionario, conquistò il mondo. Eppure, oggi Boyle avrebbe delle remore ad avviare un progetto del genere, né sarebbe facile farlo... ma giustamente. Perché?
Oggi non lo potremmo fare. Ed è giusto che sia così. È tempo di riflettere sulla questione. Dobbiamo osservare il nostro bagaglio culturale e quello che abbiamo lasciato nel mondo. All'epoca sembrò una cosa radicale. Prendemmo la decisione che solo un piccolo gruppo di noi sarebbe andato a Mumbai. Avremmo lavorato con una grande troupe indiana, cercando di fare il film all'interno di quella cultura. Ma rimani un outsider. Rimane un metodo fallace. Quel tipo di appropriazione culturale potrebbe essere persino condannato in alcuni momenti. In altri no. Voglio dire, io del film vado fiero, ma non ci penserei nemmeno a fare una cosa del genere oggi. Anche se fossi coinvolto, cercherei un giovane regista indiano per farglielo girare.