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After Work, ovvero futuro senza dover lavorare istruzioni per l'uso: parla il regista Erik Gandini

Nel suo documentario After Work Erik Gandini si pone il problema di cosa faremo quando a lavorare al posto nostro saranno le intelligenze artificiali e noi avremo tanto tempo libero. Il regista ha presentato il film oggi a Roma.

After Work, ovvero futuro senza dover lavorare istruzioni per l'uso: parla il regista Erik Gandini

Di After Work, documentario di Erik Gandini in uscita il 15 giugno, ci ha colpito innanzitutto il poster, in cui, in riva al mare, un robot legge un libro e ascolta musica seduto su una sedia a sdraio. L'autonoma, lucido e a grandezza umana, sembra essersi sostituito all'uomo in due attività che giudichiamo ludiche, e se non conoscessimo l'argomento del nuovo film del regista bergamasco che abita in Svezia, penseremmo a quelle intelligenze artificiali di cui tanto si parla e che, secondo i più, si sostituiranno completamente a noi nel giro di un quarto di secolo. In realtà è dei vantaggi di questo passaggio di testimone che il doc parla, o meglio di un'attualità in cui le ore di lavoro sono davvero troppe e di un futuro nel quale, forse, non dovremo più lavorare e avremo tanto tempo libero. Che la prospettiva sia più o meno utopica poco importa, perché se davvero potremo permetterci di non stare più chini sui computer per ore, o di non timbrare un cartellino, potremmo dover affrontare un vuoto di senso. Di questo pericolo e di un’Italia che un giorno forse dovrà cambiare l'articolo 1 della costituzione (che la definisce "una repubblica democratica fondata sul lavoro"), ha parlato Gandini durante la conferenza stampa di presentazione di After Work.

Il regista, come sempre si fa, è partito dall'idea del film: "Facciamo fatica a immaginare un'alternativa al lavoro" - ha detto. "L'idea del documentario è nata ragionando proprio su questo. Volevo provare a considerare il lavoro non come una necessità, ma come una realtà spesso negativa, una costrizione da cui facciamo fatica a liberarci. Mi riconosco in tutte le persone che si vedono nel film, e mi piace pensare a questo progetto come a una raccolta di esperienze reali e utili al prossimo. A parte la prima metà di After Work, che mostra situazioni aberranti come quella dei lavoratori della Corea del Sud e degli Stati Uniti, che si ritrovano prigionieri della morsa ideologica del lavoro, ho cercato di scoprire se esistano germogli di alternative a questa condizione. Sicuramente io l'ho vissuta in prima persona, nonostante faccia un lavoro privilegiato che per molti sarebbe un hobby. Però mi sento anche io una risultante di questa ideologia del lavoro”.

Il regista ha poi fatto un salto all'indietro nella storia e ha raccontato di quando il lavoro è diventato un must e un valore: "L'etica del lavoro è nata con la Rivoluzione Industriale. 350 anni fa, quando c'era da costruire tutto, anche i bambini dovevano lavorare. Questa idea è incompatibile con il presente e totalmente incompatibile con il futuro, però sembra che sia difficile parlare di non lavoro, e probabilmente dipende dalla nostra educazione. Io ho un ricordo traumatico della scuola: la disciplina, dover memorizzare le cose, rispondere correttamente alle domande. Penso tuttavia che ci siano esempi di sistemi educativi, soprattutto in Asia, che sono peggiori del nostro. Gli inglesi dicono: 'Machines are for answers, humans are for questions'. Ritengo che questo spirito 'umano' non sia presente nel sistema educativo di oggi".

Nonostante il sopracitato manifesto, After Work sfiora appena la scottante questione delle intelligenze artificiali: "Quando ho pensato al film, il dibattito sulle intelligenze artificiali quasi non c'era: è esploso negli ultimi tempi in maniera sorprendente. Non avremmo mai pensato che le macchine ci avrebbero sostituito tanto nelle cose noiose che in quelle piacevoli. A me interessava, più che il dibattito fra gli esperti di tecnologia, una domanda in fondo banale: cosa facciamo se non lavoriamo? Per scelta, nel film non c'è una risposta. After Work è diviso in due parti: una prima parte che racconta il presente e una seconda che esplora il futuro attraverso il presente, il che è un po’ una contraddizione, perché i documentari solitamente si occupano solo di presente e di passato, mentre il futuro è monopolio della fantascienza, però mi sento di dire che certe cose la tecnologia non potrà mai sostituirle".

After Work è ambientato in 4 paesi: Stati Uniti, Corea del Sud, Kuwait e Italia, realtà diverse fra loro ma che danno ugualmente da pensare. Ciò che lascia attoniti del mondo del lavoro in Kuwait è la sfiducia del governo nell'individuo: "Mi ha turbato molto la situazione del Kuwait, dove la possibilità della libertà esiste, gli schiavi-robot ci sono e i soldi anche, eppure manca la fiducia nell'essere umano, per cui nessuno gli dice: 'Fai quello che vuoi'. Al contrario, si chiede all'uomo di fingere di lavorare. Io non credo che l'essere umano sia passivo o sia pigro: questi sono preconcetti tristemente radicati, mentre io sono convinto che non smetteremo di darci da fare nel momento in cui avremo tanto tempo in più grazie alla tecnologia. Penso soltanto che forse dovremmo ridefinire cosa sia questo 'fare".

Una parte molto interessante del documentario di Gandini riguarda un sondaggio della società di analisi e consulenza Gallup, dal quale è emerso che la maggior parte dei lavoratori americani non è soddisfatta del proprio lavoro e si sente fortemente demotivata: "Quel sondaggio mi ha colpito a livello esistenziale: se 850 milioni di persone, tutti i giorni, spendono un terzo della loro vita senza nemmeno una passione, allora viene realmente da chiedersi: ma come possiamo andare avanti? E poi in quel caso c'è anche una componente molto neoliberista tipica del mondo del business, e cioè che loro con una mano fanno questo sondaggio, ed è una cosa che mi preoccupa, mentre con l'altra offrono le soluzioni, che sono poi degli strumenti per aumentare il livello di coinvolgimento nel lavoro attraverso il management coaching, una filosofia che si impegnano a vendere, ma che nasconde un'idea molto sorpassata dell'essere umano, che in fondo è parte di un gregge: basta che lo dirigi e ti obbedisce".

Per Erik Gandini non è stato facile mettere in discussione l'etica del lavoro e cominciare a sognare a occhi aperti un mondo senza uffici e concorsi ministeriali: "Sono cresciuto in una famiglia di sinistra, in cui si è sempre detto che noi lavoriamo sodo per cui siamo certamente meglio dei ricchi, che noi fatichiamo e che queste fatiche ci daranno qualcosa di più, quindi capirete come sia stato difficile per me mettere in discussione quest'idea a favore della possibilità di decidere liberamente cosa fare. Se ci pensate, la nozione che il lavoro nobilita l'uomo toglie libertà all'individuo, una libertà che nel presente è legata ai soldi. Bisognerebbe dunque, a fronte del venir meno del lavoro, redistribuire le ricchezze, il che sarebbe anche giusto, soprattutto se si pensa che solo 62 persone sul pianeta hanno ricchezze equivalenti alla ricchezza della metà del pianeta stesso".

Alla fine dell’incontro stampa di After Work abbiamo chiesto al regista se, quando avremo tutti tanto tempo libero, la noia non porterà una buona parte della popolazione mondiale a fare uso di droghe o a dar vita a uno scenario violento come quello della saga de La notte del giudizio. Ecco la sua risposta: "Se il lavoro dovesse venire meno, qualcuno andrà a fare surf e qualcuno musica, qualcuno magari scoprirà un nuovo vaccino o inventerà qualcosa di fondamentale per risolvere il problema ecologico. Anche l'idea, radicata ancora oggi, che studi fino ai 25 anni, lavori fino a 65 e dopo vai in pensione, è una semplificazione della vita che forse è incompatibile con il modo in cui siamo come esseri umani. Lei mi parlava della pericolosità del pensiero di chi ha tanto tempo a disposizione, io vedo invece un enorme pericolo nel disengagement, che sarebbe la mancanza di coinvolgimento in un’attività di cui spiegavo prima. Anche il pregiudizio che in Svezia c’è nei confronti del disoccupato è molto rischioso. In Svezia si lavora fino a un'età molto avanzata e non si imporrà mai la settimana lavorativa corta. In Svezia l'individuo è solo, e forse è anche per questo che vorrei che il film riuscisse a diffondere il messaggio che è fondamentale aiutarci l'un l'altro".

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