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La nostra Intervista a Lino Di Salvo, animatore capo di Frozen - Il regno di ghiaccio

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In occasione dell'uscita del film abbiamo intervistato l'animatori capo della Disney

La nostra Intervista a Lino Di Salvo, animatore capo di Frozen - Il regno di ghiaccio

E' la prima volta che ci capita di intervistare un animatore capo della Disney, ed è un momento importante. La specifica mansione dell'animazione è naturalmente il cuore di ciò che nei decenni è sempre stato il Santo Graal dei grandi artisti della casa: "the illusion of life", "l'illusione della vita", come sostenevano i due grandi Frank Thomas e Ollie Johnston.
Nato a Brooklyn, l'animatore capo di Frozen, Lino Di Salvo, è approdato alla Disney direttamente dopo essersi diplomato alla Vancouver Film School ("Una bella fortuna!", ammette lui stesso). Innamorato dell'animazione, ha comunque studiato arte a 360°, e ha reso omaggio alle sue origini italiane analizzando da vicino i lavori di Michelangelo, direttamente a Firenze.

L'animazione disneyana nel 2013

Entriamo subito nel vivo, domandandogli se le tecniche di simulazione automatica di capelli e vestiti abbiano nell'era della CGI sostituito l'intervento manuale. La risposta è negativa: per lo stile che ci si era prefissato in Frozen, questi elementi non potevano essere solo simulati, pena un realismo asettico. Ogni quattro fotogrammi di simulazione, gli animatori sono infatti intervenuti sui movimenti del vestiario, proprio per assicurarsi che fosse complementare alle emozioni della scena e del personaggio.
Bando agli automatismi anche per l'intercalatura. Nell'epoca dell'animazione classica a mano libera, tale parola definiva i disegni intermedi che gli assistenti animatori eseguivano, completando le azioni definite dai disegni-chiave creati dagli animatori. Siccome i computer possono calcolare autonomamente questi fotogrammi intermedi, la tentazione di lasciar fare alla macchina è grande, ma è fugata: il software, ci spiega Di Salvo, non può intuire il senso della "posa", l'espressività dei singoli istanti, quindi è necessario agire su ogni singolo fotogramma per evitare movimenti robotici e inespressivi.


Questa responsabilità di controllo totale è garantita dalla consulenza di un grande degli anni Novanta (e oltre): Mark Henn. Animatore tradizionale che debuttò giovanissimo muovendo Mickey Mouse nel Canto di Natale di Topolino (1983), Henn ha aiutato tutti gli animatori in computer grafica a rifinire le pose, rispondendo a ogni domanda, nell'ottica di un'arte digitale che non perda di vista le radici. Di Salvo cita anche la grande influenza di un altro veterano, Glen Keane, con cui ha lavorato a lungo su Rapunzel: "Ci ha aiutato a pensare alla CGI come se fosse un disegno, a concentrarci sui personaggi."

La sfida della CGI

La sfida per gli animatori 2D che passano alla CGI è capire che non possono limitarsi a disegnare i fotogrammi-chiave, ma devono occuparsi di ogni frame, un lavoro tutt'altro che veloce come la "magia della tecnologia" farebbe pensare. Anzi, l'animazione a mano è spesso eseguita "on twos", cioè raddoppiando la permanenza su schermo di ogni disegno (diciamo 12 disegni diversi per 24 fotogrammi al secondo). Bene, questo nella CGI non si può fare ed è necessario animare sempre "on ones", fotogramma per fotogramma.


Con questo raffronto molto fitto tra matita e modelli tridimensionali, ci incuriosisce sapere, nell'arco produttivo, quando il computer comincia a entrare in gioco: Lino ci spiega che l'ultima fase di lavorazione che ruoti sulla mano libera è attualmente lo storyboard. Subito dopo, la progettazione scenica delle sequenze (il layout) viene già realizzata su computer, in un set virtuale che permetta di simulare correttamente i movimenti di macchina e le luci. Di Salvo confessa che lui stesso, pur amante del disegno ai tempi del college, ha perso la mano, essendo arrivato alla Disney quando l'addestramento del personale alla CGI era appena iniziato.


Nessuna tentazione, per gli animatori, di intromettersi già nello storyboard e pilotarlo in funzione del loro lavoro? Lino rispetta le mansioni: gli artisti degli storyboard "sono bravissimi" e anche le sequenze più complesse come quelle musicali sono perfettamente definite, quindi come animatori devono essenzialmente seguirle. Al massimo possono decidere, in accordo con i registi, di condensare tre o quattro inquadrature in una.

Organizzare l'animazione

Stabilito cosa significhi animare in CGI, c'è da capire qual sia l'approccio pratico al lavoro. La strategia di Di Salvo consiste nel chiamare un insegnante di recitazione e analizzare con lui/lei il copione, coinvolgendo i doppiatori: gli animatori spesso riprendono se stessi mentre recitano le scene o cantano, come guida. Curiosità: al primo giro altri animatori preferiscono essere indipendenti da riferimenti dal vero. Lino invece dà un grande valore all'ispirazione garantita dal corpo umano, fermo restando che imitare la realtà pedissequamente, come abbiamo detto, non è mai consigliabile.


Dagli albori agli anni Settanta, ciascun animatore si occupava di solito di tutti i personaggi nell'inquadratura che gli era stata affidata. Negli anni Novanta, in film come Aladdin, ogni personaggio era gestito da una sua piccola equipe costituita da un supervisore e un miniteam. E adesso? Una via di mezzo più flessibile, ci spiega Lino. In preproduzione tutti i personaggi principali mantengono un supervisore per ciascuno. In produzione il lavoro si apre a tutti gli altri, senza assegnazioni precise: di solito il supervisore rimane a sovrintendere sulle scene che fanno perno in particolare sul suo personaggio, aprendosi però al contributo dei colleghi.


Un esempio delle decisioni prese da Lino e dai supervisori è la recitazione di un personaggio fuori dai canoni come il pupazzo di neve Olaf. All'inizio del lavoro Olaf si muoveva senza regole precise. Si è risolto il problema studiando la sua personalità. L'idea era che lui pensasse di essere perfetto, ma che l'animazione tenesse presente i suoi limiti fisici: da questo contrasto è nata la sua credibilità attoriale. Il suo "plausibile impossibile", come amava dire Walt Disney.

L'affetto per l'identità

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  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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