Favola: recensione del film con Filippo Timi donna
La versione cinematografica dell'omonimo spettacolo non è teatro filmato e difende con delicatezza il diritto a essere se stessi.
Cosa ci fa Julianne Moore di Lontano dal Paradiso o Julianne Moore di The Hours in Favola di Sebastiano Mauri? Beh, non si tratta proprio di Julianne Moore, o meglio dei suoi personaggi nei film di Stephen Daldry e Todd Haynes, però va detto che la Mrs. Fairytale interpretata da Filippo Timi nell'adattamento di una sua strafamosa pièce teatrale ha molte cose in comune con quelle miti casalinghe lì, e anche con l’imperscrutabile Bree di Desperate Housewives e in qualche modo con la April di Revolutionary Road. Come loro, e come tante donne dei melodrammi di Douglas Sirk, la signora abito a fiori e giro di perle se ne sta chiusa in una casa di bambola prigioniera di pudori e autocastrazioni, intenta a ravvivarsi i capelli e a cucinare per un marito che è la quintessenza del più brutale maschilismo e che solo il mercoledì vuole prendersi le sue soddisfazioni coniugali. In più la nostra mogliettina dai grembiulini con rouche ha una cagnolina impagliata di nome Lady e uno strano modo di pronunciare le "s" fin quasi a trasformarle in "z", e ha la faccia da uomo, e la voce da uomo, ma, curiosamente, non spiazza né disturba per questo, e soprattutto non sospende mai l'incredulità. E’ donna e basta Mrs. Fairytale, tanto quanto l’amica del cuore Mrs. Emerald di Lucia Mascino o la Mother di Piera Degli Esposti, che nello spettacolo di partenza non c'era e che qui rincara la dose di brio.
Di brio, attenzione, Favola ne ha giusto un po’: in un licenzioso mambo insegnato da un vicino di casa, per esempio, o nelle confidenze fra femmine, o ancora nelle visite inaspettate di tre gemelli e nell'esuberanza dell'attore protagonista. Per il resto, seppure fra allegre carte da parati con palme o cactus e bibitoni alla menta, cìè poco di cui gioire nel film, e non solo perché il richiamo ai Fifties invita a riflettere sull'impotenza del gentil sesso di fronte a uomini violenti o agli imperativi di una società che, a tratti, pretende ancora dalle donne bellezza, docilità, cura della propria persona e repressione dei propri istinti, ma perché la storia forse inventata di una fanciulla cresciuta inspiegabilmente vittima di una sconcertante trasformazione in realtà allude alla difficoltà di affermare la propria identità, sessuale prima di tutto. E Favola parla anche di una felicità possibile solo se lontana da quella che i più chiamano normalità. Non entreremo nello specifico, per non spoilerare, limitandoci a dire che ci sono dei tranquillanti sospetti e si insinua il dubbio che perfino nella gabbia dalle camere tonde di Mrs. Fairytale la vita sia più serena (e più conforme al nostro vero sé) che altrove, e cosa e dove sia questo altrove lo scopriremo solo alla fine, in maniera sfortunatamente troppo frettolosa.
E tuttavia il divertimento c'è, o meglio qualcuno si diverte e si è divertito: in primis lo stesso Timi e il regista Sebastiano Mauri, che hanno chiamato in causa perfino le dark lady di certi noir anni '40 e che, contrariamente a quanto hanno fatto con Mrs. Fairytale - che cambia solo il colore dell'abito - hanno giocato molto con la sua compagna di sventure (la Mascino), che ora è goffa e ora è super sexy, che talvolta ha i capelli raccolti come Kim Novak ne La donna che visse due volte e gli occhiali di Marilyn Monroe in Come sposare un milionario e talvolta riesce a rammentare Veronica Lake e la sua setosa chioma bionda.
I due sceneggiatori, poi, sembrano provare grande soddisfazione a giocare con il linguaggio cinematografico ed è interessante come, pur non tradendo la natura teatrale originaria del racconto, evitino la trappola del teatro filmato. La casa è sempre la stessa e raramente i personaggi in scena sono più di tre, e i dialoghi hanno sempre maggior peso delle azioni, ma un montaggio rapido assicura una rinfrescante impressione di movimento, insieme ai giochi di luce, a una musica enfatica e al volteggiare di Timi fra una camera e l’altra. L'attore umbro è sempre leggiadro e leggero come una piuma, e accarezza gli spazi, e non è mai sopra le righe. La sua recitazione, anzi, è quasi e volutamente sottotono, complice una voce dolce e atteggiamenti schivi. Filippo è donna, non si discute, non è come Josephine e Daphne di A qualcuno piace caldo. Di quel capolavoro di Billy Wilder ricorda piuttosto Zucchero Kandinsky, almeno fino a quando non decide di pianificare e portare a termine una sacrosanta vendetta.
Anche Lucia Mascino è straordinaria, non c'è dubbio. Ciò che non è straordinario, in questo film gioiosamente folle e strampalato, è il cambio di tono, che coincide con un mutamento improvviso nella relazione fra Fairytale ed Emerald, anche se uno spettatore attento riconoscerà in questa lieve confusione l'irrazionalità e l'illogicità dell'umano fantasticare. E se, guardando Mulholland Drive, nessuno si è stupito a vedere una coppia di vecchietti che si intrufolava, rimpicciolita, sotto una porta, non chiediamoci perché qui gli interlocutori della protagonista di colpo scompaiano per poi riapparire.
Favola va buttato giù tutto d'un fiato, come le medicine sciroppose e colorate di Mary Poppins, e accettato nei suoi azzardi e nelle sue irregolarità, che troveranno alla fine la giusta spiegazione e giustificazione. Una giustificazione che difende il diritto a essere se stessi e che, come già detto, non beneficia della scarsissima durata delle ultime battute, da cui ci saremmo aspettati un pizzico di dramma in più.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali