Quell'incredibile irresistibile Pap'occhio di 40 anni fa
Il 19 settembre 1980 usciva nei cinema, prima del sequestro per vilipendio alla religione, Il Pap'occhio, uno dei film più unici e divertenti della storia del cinema italiano, nato dalla vulcanica mente di Renzo Arbore con gli storici complici e collaboratori de L'Altra Domenica.
- Il Pap'occhio: un oggetto misterioso
- Un'idea semplice ma geniale ed intelligentemente impapocchiata
- Il Pap'occhio: un destino da cult movie
- Tagli ritagli e frattaglie del Pap'occhio
- Quando puoi veramente dire “C'ero anch'io”: I ricordi di Fabrizio Corallo
Questo non è solo un articolo di celebrazione per i 40 anni dall'uscita del Pap'occhio, ma anche una lettera d'amore al mondo che ha creato e ci ha regalato - andando dritto per la sua strada e incontrando per nostra fortuna complici, compagni di viaggio più o meno stabili e menti illuminate in genere, al di fuori delle mode, degli interessi partitici, della compiacenza al potere che dominano oggi nel nostro impoverito mondo culturale - quel gran signore di Renzo Arbore. Magister vitae et facetiarum per più generazioni di volenterosi e riconoscenti studenti che, per quanto si sforzino, non riusciranno mai a superare il maestro. Alla mente di questo eterno giovanotto garbato e di altri tempi, che ama la goliardia e la leggerezza, dobbiamo non solo l'esser cresciuti con Alto Gradimento (senza dimenticare ovviamente Gianni Boncompagni) e con la sua tv intelligente e controcorrente, ma anche la conoscenza della musica rock, soul e blues e dei migliori cantautori italiani, da lui portati in Italia o tenuti a battesimo. Oltre a tutto questo e alla sua attività di musicista, compositore, cantante, esegeta della musica napoletana, gli dobbiamo anche due film da regista. Il primo, Il Pap'occhio, uscì esattamente 40 anni fa, il 19 settembre 1980, e lo videro sicuramente subito dove possibile tutti quelli – tra cui la sottoscritta - che avevano adorato L'altra domenica, innovativo apripista dei programmi festivi pomeridiani (purtroppo tutti peggiori di quello), rotocalco un po' pazzo con il primo telequiz telefonico in diretta e collegamenti da tutta Europa condotti da personaggi entrati subito nell'immaginario giovanile, da Andy Luotto a quel genio di Mario Marenco, già anima di Alto Gradimento, da Isabella Rossellini a Michel Pergolani, da Milly Carlucci a Fabrizio Zampa e Silvia Annichiarico, con le seducenti sorelle Bandiera (le prime drag queen nella tv di stato!), i musicisti di strada Otto e Barnelli e le meravigliose, esilaranti improvvisazioni con Roberto Benigni, nelle vesti di un critico cinematografico che non vedeva mai i film o non li capiva, cosa in fondo comune a molti di noi.
Il Pap'occhio: un oggetto misterioso
Il Pap'occhio altro non era che un'escursione dell'allegra brigata arboriana sul grande schermo, compiuta con la stessa irriverente nonchalance e freschezza dello show televisivo, un vero e proprio scavalcamento di campo che con tutti i suoi difetti, gli errori e le ingenuità, è ancora godibilissimo quattro decenni dopo la sua uscita e che all'epoca trovò convinti ed entusiasti sostenitori nientemeno che in Mario Monicelli e Federico Fellini. Nonostante la breve permanenza sugli schermi prima del sequestro, si piazzò al sesto posto nella classifica degli incassi. In quegli anni iniziavano ad arrivare al cinema i personaggi di successo del piccolo schermo: nel gennaio 1980 Carlo Verdone aveva firmato Un sacco bello, nato dai suoi personaggi teatrali e televisivi, e l'anno successivo sarebbe stato il turno del trionfo di un altro grande amico di Arbore, Massimo Troisi, con Ricomincio da tre, e del primo e unico film insieme dei Giancattivi con A Ovest di Paperino. Ma era la prima volta che una vera e propria “compagnia di repertorio” era protagonista di un film, anche se non tutti per forza di cose vi ebbero lo stesso spazio. Giovanni Grazzini, critico del Corriere della Sera, che lo aveva amato, lamentava ad esempio la mancanza di più momenti con l'ineffabile (e incontrollabile, come scoprì a sue spese Fellini quando cercò di scritturarlo) Marenco, ma il film rende veramente l'idea di quello che Arbore avrebbe perfezionato cinque anni dopo con Quelli della notte: un gruppo di amici, anche non professionisti, che si diverte divertendo il pubblico, con giochi di parole, parodie, citazioni, fraintendimenti e gaffe, in una parola col cazzeggio in cui il capocomico Renzo Arbore è capace di coinvolgere anche i più timidi della compagnia.

Un'idea semplice ma geniale ed intelligentemente impapocchiata
Tutto nacque a quanto racconta Arbore da un sogno in cui il neo Papa Wojtila lo chiamava ad allestire uno spettacolo televisivo per il Vaticano. Da lì l'idea, proposta al produttore Mario Orfini e subito accettata, che portò alla sceneggiatura in coppia con Luciano De Crescenzo (che nel film è Dio e anche il deus ex machina, letteralmente) e che durante le riprese si aprì, grazie ai suoi interpreti - soprattutto Benigni, che inventò il lungo e celeberrimo monologo sul Giudizio Universale - all'improvvisazione più sfrenata. Tra gli ospiti illustri aggiunti per l'occasione alla compagnia ci sono il giornalista Ruggero Orlando e la grande attrice Mariangela Melato, compagna di Arbore, che in una delle scene più divertenti del film gli rifila senza che lui se lo aspetti un autentico sganassone.
Questa la “trama” del Pap'occhio:
Contrastato nell'ombra da un cardinale oscurantista che si chiama non a caso Richelieu, Renzo Arbore, il dj che ama Elvis e che Benigni è convinto odi la sua canzone preferita, “Zingara” di Bobby Solo, vanesio personaggio con parrucchino, orgoglioso della sua ignoranza e ignaro di tutto, con la sua banda di guitti arriva in Vaticano. Lì dà vita a una scalcinata televisione a tema religioso per riportare i giovani alla fede cattolica in declino, mentre il nuovo Papa polacco impara l'italiano con un maestro che lo bacchetta per i suoi errori (Cesare Gigli) e dietro le quinte della preparazione dello show di apertura si crea una congiura ai suoi danni, che riproduce le varie situazioni dei vangeli, inclusa l'Ultima Cena, il tradimento di Giuda e un coro di menestrelli neri che cantando commenta quello che accade e che si chiama, giustamente, i Jazzemani. Tutto finisce con una scena rubata da Prova d'orchestra di Fellini, proprio per l'insoddisfazione del Padreterno, di fronte al Papa, ai Cardinali e al presidente Sandro Pertini (che nostalgia!).

Il Pap'occhio: un destino da cult movie
Anche se all'impreparato regista il primo giorno sul set un macchinista disse, come ama raccontare, “stai a fa' du' firme in uno: er primo e l'urtimo”, il grande direttore della fotografia Luciano Tovoli, reduce da Professione Reporter di Michelangelo Antonioni e da quel lunghissimo, stupefacente piano sequenza finale, ricorda con entusiasmo l'esperienza sul film, che gli insegnò quello che non aveva mai fatto: arrivare sul set senza posizioni, inquadrature fissate e storyboard e cercare di stare dietro a tutto quello che accadeva senza perdere niente. Un'anarchia creativa che in occasione del trentennale del film raccontava di rimpiangere, così come confessava la sua ammirazione per Renzo Arbore e per Roberto Benigni, nella fase più anarchica e geniale della sua carriera. Oggi, con le telecamere digitali, cogliere l'attimo non è più un problema, ma Tovoli e i suoi dovettero fare veramente l'impossibile per star dietro a quella banda di matti e a un regista che, richiesto di spiegazioni su come voleva inquadrata una certa scena, rispondeva serafico “basta che si veda”. Il sequestro di una pellicola partita fortissimo venne chiesto tre settimane dopo l'uscita dal solerte procuratore de L'Aquila Donato Massimo Bartolomei, specializzato in crociate del genere, con l'accusa di vilipendio della religione, quando “scherza coi fanti ma lascia stare i santi” in un Paese in cui il cattolicesimo è ancora religione di stato è un proverbio ancora validissimo, specie dopo il Wojtilaccio di Benigni a Sanremo. Il film andò così a processo davanti a un magistrato impegnato in ben altre e più gravi faccende come Luciano Infelisi, dove l'avvocato mancato Arbore lo difese efficacemente dalle accuse insieme a Benigni, che intervenne a modo suo per sostenerlo. Quando uscì in VHS Il Pap'occhio fece registrare nuovi record di vendita, e da allora è rimasto un oggetto di culto. Al cinema è tornato poi nel 1985 e nel 1998, con montaggi leggermente diversi (e perdendo la scena di Isabella Rossellini in una romantica passeggiata col Pontefice).
Tagli ritagli e frattaglie del Pap'occhio
Se avete visto Il Pap'occhio e lo avete amato, probabilmente avrete anche il dvd del trentennale con gli extra, tra cui un bel documentario di Fabrizio Corallo e tutti quei pezzi (tantissimi) che non hanno trovato posto nel montaggio finale. Se però non lo avete c'è una buona notizia: su Amazon Prime Video potete vedere proprio Il resto del Pap'occhio, che raccoglie tutte le scene tagliate. Secondo noi ce ne sono diverse che quanto a capacità di divertire avrebbero potuto tranquillamente entrare nel film: segnaliamo il lungo monologo filo americano di Marenco e le esibizioni di alcuni dei personaggi e artisti dilettanti che in epoca di talent patinati fanno rimpiangere la loro schietta e grossolana spontaneità (confessiamo il nostro debole per l'esagitato cantante di “Come un cerino”). A proposito, vittima del barbiere pazzo è l'assistente alla regia del film, il collega Fabrizio Corallo, che a 40 anni di distanza dal misfatto ha gentilmente condiviso con noi alcuni dei ricordi e delle riflessioni su quella esperienza e sul suo creatore.

Quando puoi veramente dire “C'ero anch'io”: I ricordi di Fabrizio Corallo
Fabrizio Corallo, giornalista, regista e autore di documentari (ultimo in ordine di tempo Siamo tutti Alberto Sordi?), su quel set, beato lui, c'era. Aveva conosciuto Arbore, pugliese come lui, quando aveva solo 18 anni, al festival di Taormina, e il grande talent scout, colpito dalla passione di questo ragazzo per il cinema gli aveva predetto un grande futuro e lo aveva invitato ad andare a Roma per seguire i suoi sogni, offrendogli i suoi consigli da vero mentore e amico, dando il via ad un'amicizia che dura tutt'oggi. Fabrizio iniziò poi a lavorare come assistente sui set dei primi sceneggiati tv e film di Pupi Avati, da Jazz Band a Le strelle nel fosso. “Frequentavo ancora l'università e tra un esame e l'altro lavoravo nel cinema, quando una segretaria di edizione che stava per iniziare Il Pap'occhio mi chiamò per fare l'assistente e da allora mi sono trasferito a Roma in maniera definitiva continuando a lavorare con Arbore e anche con Gianni Minà per i programmi televisivi, e a scrivere per vari quotidiani”. Fabrizio, che ha lavorato su molti set, tra cui anche quelli dei poliziotteschi di Stelvio Massi, ricorda con tantissimo affetto e divertimento quello del Pap'occhio, le cui riprese si svolsero nella primavera del 1980 a Roma e nella reggia di Caserta, che faceva le veci del Vaticano. Ogni volta che incontra le persone con cui ha lavorato sul set, ci dice, “è come se avessimo fatto il militare insieme. Siamo rimasti in contatto costante con Benigni, con Marenco quando c'era ancora e con Isabella Rossellini. C'era la consapevolezza di creare qualcosa di irripetibile nella sua follia”.
Oggi un'opera così appare quasi impensabile, perché Arbore in tutta la sua carriera ha dimostrato che si può scherzare senza volgarità praticamente su tutto, mentre ormai sembra non si possa più fare o dire niente senza ledere la dignità di qualcuno. Corallo ricorda che quello in cui fu realizzato Il Pap'occhio “era un momento in cui c'era una spinta creativa libertaria e qualche volta libertina, frutto di tutto quello che c'era stato nell'arte in Italia dovunque, a teatro, al cinema, nelle cantine d'avanguardia da cui proveniva Benigni, nelle sperimentazioni musicali, per cui c'era un'estrema libertà di movimento creativa e Arbore da vero rabdomante ha sempre captato da ogni contesto il meglio di qualsiasi situazione ed è stato sempre un maestro, un cercatore, e anche oggi a 83 anni è sempre curioso e attento a tutto quello che ha intorno. In realtà è cambiato il Paese, c'è stata un'involuzione clamorosa e un ritorno agli anni Cinquanta che erano più addomesticati rispetto ai decenni seguenti. Adesso si ha paura un po' di tutto, non parlo solo del politically correct, ma stiamo rimettendo indietro le lancette dell'orologio cancellando tutte le conquiste sociali degli anni Sessanta e Settanta”.
L'atmosfera sul set del Pap'occhio era “una festa mobile dalla mattina alla sera, si lavorava in un clima di spensieratezza, di coesione, di gioia di vivere, di fiducia totale e di complicità creativa a tutti i livelli. Isabella Rossellini era sposata con Martin Scorsese che venne subito di corsa per il piacere di condividere il divertimento di questa esperienza”. Amico di Renzo Arbore da 45 anni, così lo descrive, dopo aver dichiarato la sua sconfinata ammirazione per l'artista e per l'uomo: “Pur essendo artisticamente rivoluzionario - perché ha avuto delle idee originali, anticipatrici e davvero rivoluzionarie - tutto sommato è un signore benpensante, che non ha mai fatto il rivoluzionario in piazza. Molti anni fa Beniamino Placido a proposito del successo trasversale e popolare dei suoi programmi disse che quello era il vero antifascismo. Era ammirato dal fatto che riuscisse ad attraversare le varie categorie sociali e le varie fasce d'età con uguale seguito, è un caso più unico che raro un talento di questo tipo, che lo è ancor più nella vita che nell'arte, uno di quei gentiluomini rari di cui si è perso lo stampo”. Con questa definizione perfetta, che sottoscriviamo con affetto e gratitudine, concludiamo la nostra celebrazione del Pap'occhio, leggendario oggetto filmico non identificato, che ogni volta che lo vediamo ci diverte come la prima volta.