Matteo Garrone al Bif&st sugli Oscar: "Era possibile vincere. Mi sono sentito frustrato"
A una settimana dagli Oscar 2024 Matteo Garrone incontra il pubblico del Bif&st 2024 e rivela che, se avesse avuto un grande distributore USA alle spalle, avrebbe potuto vincere l'Oscar per il Miglior Film Internazionale.

Sono in tanti ad aver fatto la fila fuori dal Teatro Petruzzelli di Bari per vedere o rivedere Io Capitano e sentir parlare Matteo Garrone, che si rivolge a una platea soprattutto di giovani, gli stessi che possono guardare la realtà da una prospettiva diversa e trasformare il mondo in un posto equo, nel quale la cultura della diffidenza e della paura, e dei muri che separano e respingono, venga soppiantata da una battaglia in nome della tolleranza e dell'inclusione. Il regista, che ha raccontato i migranti dal loro punto di vista, seguendo il loro rocambolesco viaggio fino alle coste italiane, spera in un futuro all'insegna di un sempre maggiore scambio e di una sempre più frequente condivisione fra paesi. Nonostante questo, a una settimana dagli Oscar, non può fare a meno di guardare al passato più recente, e quindi ai mesi che ha trascorso negli Stati Uniti prima della cerimonia degli Academy Awards 2024, a cui ha partecipato in qualità di candidato per il Miglior Film Internazionale.
Nel momento in cui il moderatore dell'incontro gli ricorda la sua appartenenza a una "cinquina" di grandissima qualità, nella quale i favoriti erano La zona di interesse di Jonathan Glazer e Perfect Days di Wim Wenders, il regista ribatte che Io Capitano aveva le carte in regola per trionfare, con grande sorpresa del pubblico e di noi giornalisti appollaiati sugli sgabelli dei palchetti laterali.
"Non era impossibile vincere l’Oscar" - comincia Matteo. "In realtà era possibile, solo che, purtroppo, la campagna per gli Oscar ha le sue regole e un film straniero deve avere dietro un distributore americano importante che abbia voglia di investire e che sia capace di istruirti su come muoverti. Noi abbiamo fatto del nostro meglio, ma non avevamo nessuno che ci dicesse le cose fondamentali da fare. Per esempio, nessuno ci ha spiegato che il film poteva concorrere in tutte le categorie, e infatti mi hanno chiesto: 'Ma com’è possibile che l’attore non sia fra i cinque migliori attori protagonisti?'. Effettivamente Seydou Sarr ci ha regalato un’interpretazione straordinaria, ma quella degli Oscar è una gara in cui non tutti partono dalla stessa posizione: dipende da chi hai dietro, da chi ti sostiene in loco. E poi, nel caso specifico, c'è un’altra cosa che va detta, oltre al fatto che i miei concorrenti hanno gareggiato in tutte le categorie: quando si partecipa solo come miglior film internazionale, a votarti sono 1000 giurati. Le persone che votano per l'Oscar, però, sono diecimila, e quando sei in lizza in tutte le categorie fin dal principio, arrivi a tutti i diecimila, e perciò, quando sei tra i fatidici cinque, a votare non sono solo i mille. Se avessimo ottenuto altre candidature, probabilmente avremmo avuto più chance di farcela. Queste cose io le ho scoperte molto tardi e mi sono sentito frustrato. Se solo avessi partecipato a più 'gare', magari le cose sarebbero andate diversamente, anche perché Io Capitano è stato amato tanto, e se siamo riusciti ad arrivare fra i cinque in questa maniera, vuol dire che il film era potente e aveva una grande forza. E tuttavia Io Capitano è un film strano, che tanti festival e tanti distributori americani hanno rifiutato. Infine c'è una cosa che i più non sanno, e cioè che gli inglesi hanno più di 900 persone che votano per l'Oscar, e di solito un film inglese, essendo in lingua inglese, non partecipa alla gara per il miglior film internazionale, mentre gli italiani che votano per l'Oscar sono all'incirca 100, quindi si parte già con 800 voti di differenza. Al di là di questo, la cosa più straordinaria è che, ogni volta che proiettavamo il film, Io Capitano riceveva sempre una standing ovation".
Agli spettatori baresi che sono rimasti abbacinati da un racconto tanto potente e da una storia che ha il sapore della verità, Matteo Garrone ha voluto poi spiegare che la disavventura di Seydou e di Moustapha è leggermente edulcorata rispetto a ciò che accade veramente: "La realtà è più dura del film, e spesso sono stato costretto a lavorare di sottrazione, perché certi racconti erano così terrificanti che sarebbe stato difficile metterli in scena così com'erano. Rischiavamo quasi di diventare falsi, però va detto che il film cerca di umanizzare dei numeri, perché noi ci siamo abituati ormai da anni a sentir parlare di numeri: di arrivi, di persone morte, di persone che si salvano. Il mio film cerca di raccontare che dietro a questi numeri ci sono delle persone come noi, dei ragazzi come i nostri figli, che sognano di vedere il mondo, di trovare delle opportunità migliori per poter poi aiutare anche la famiglia. A complicare le cose sono la globalizzazione e i social media, perché questi ragazzi cominciano a vivere virtualmente in Italia, in Inghilterra, in America, e noi mandiamo delle immagini che fanno promesse, che fanno credere che qui sia tutto facile. Noi sappiamo che cosa si nasconde dietro a tutto questo, loro invece no. I loro sogni sono illusori e ciò rende ancora più drammatica questa tragedia".
Matteo Garrone ha creato un bellissimo rapporto con i suoi attori, in particolare con Seydou Sarr, che è stato scelto quasi per caso. Il regista rivela che il suo sogno di ragazzo non era fare l'attore: "Seydou vuole fare il calciatore, non gli interessa recitare e quindi, quando siamo andati in Senegal a fare il casting, si è presentato solo Moustapha Fall, che viene da una periferia povera di Dakar dove studiava recitazione in una piccola scuola di teatro. In qualche modo era quindi già indirizzato verso questo mestiere. Seydou invece vive a 1 h e mezza da Dakar, in una cittadina che si chiama Thiès. La mamma e la sorella sono attrici amatoriali e lui fantasticava di diventare un asso del pallone. Un giorno, mentre io stavo ancora in Italia, i miei collaboratori sono andati a fare il casting a Thiès e, fra le persone che organizzavano il casting, c’era un amico della sorella di Seydou che le ha detto: 'Avverti tuo fratello'. Quella mattina, come Pinocchio, perché Seydou è un po’ Pinocchio, invece di presentarsi al casting, Seydou va a giocare a calcio. Qualcuno telefona alla sorella e le dice: 'Guarda, tuo fratello non è mai stato qui'. Così lei va al campo di calcio, lo prende e lo porta a fare il provino. Lui arriva e si accorge che ci sono più di 100 persone in fila e non fanno più entrare nessuno. A quel punto torna a casa insieme alla sorella e si accorge di aver perso le chiavi di casa, allora ritorna a cercarle là dove c'era il casting. Qualcuno lo nota e gli dice: 'Già che sei qua, rientra', e così Seydou fa il provino. Il giorno del secondo provino, lui non ha voglia di andare a Dakar, ma la madre gli dice: 'Noi non possiamo più recitare, adesso tocca a te'. Quando abbiamo cominciato la lavorazione, ho preferito non dare a Seydou e a Moustapha la sceneggiatura. I miei protagonisti quindi non sapevano se i loro personaggi ce l'avrebbero fatta o no e che tipo di avventura avrebbero vissuto. E così, giorno per giorno, davamo loro la scena che avremmo fatto. Come i personaggi che interpretavano, Moustapha e Seydou avevano il desiderio di uscire dal Senegal e vedere il mondo".
Matteo Garrone torna a parlare dell'America per raccontare che nel paese a stelle e strisce Io Capitano è stato apprezzato: "Intanto dobbiamo pensare che l'America è un paese di migranti: sono arrivati in tantissimi negli States per ottenere un futuro migliore, quindi si identificano immediatamente con questa storia, in più il film è un racconto epico, e l'epica è centrale nel cinema americano, dove un film è spesso il viaggio dell'eroe che deve superare tutta una serie di pericoli. In tal senso, questo è il mio film più accessibile, per certi versi popolare, anche perché Seydou è un eroe che non ha zone d'ombra: è un puro e combatte per la vita contro un sistema di morte".
Prima di congedarsi dal pubblico del Teatro Petruzzelli, Matteo Garrone risponde a una domanda sui suoi registi italiani preferiti: "Sicuramente Mario Monicelli è uno degli autori che amo di più, insieme a Federico Fellini, Roberto Rossellini e Vittorio De Sica. I miei colleghi ed io cerchiamo di fare del nostro meglio per costruire un ponte con i grandi maestri del passato. A volte le nuove generazioni si dimenticano di quanto il cinema italiano sia stato fondamentale. Io Capitano ha un debito con i grandi capolavori del neorealismo, anche se geni come Federico Fellini mi hanno molto influenzato nella dimensione visionaria e onirica che appartiene al film. Confesso quindi che sono in imbarazzo a prendere un premio (il Federico Fellini Award for Cinematic Excellence ndr) con un nome così importante".