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Da Oldboy a Decision to Leave: Park Chan-wook racconta cosa è cambiato

La risposta, in estrema sintesi, è "niente". Ma i giornalisti ossessionati da quel film continuano un po' ottusamente a tornarci sopra. Ecco come Park, al Festival di Cannes, ha raccontato differenze e analogie tra i due film.

Da Oldboy a Decision to Leave: Park Chan-wook racconta cosa è cambiato

Non ci sono dubbi riguardo il fatto che, con Bong Joon-ho, Park Chan-wook sia il più importante e stimato regista coreano. Ed è altrettanto poco discutibile che il film che ha regalato a questo maestro il grande successo internazionale sia stato Old Boy. Indubbio, anche, che Old Boy e il suo nuovo, bellissimo Decision to Leave, in questi giorni arrivato nelle sale italiane, siano film molto diversi l’uno dall’altro. Ma il modo in cui i giornalisti, al Festival di Cannes dove Decision to Leave è stato presentato in concorso e ha vinto il premio per la migliore regia, tornavano sul confronto tra i due film, separati da vent’anni e da storie profondamente diverse, aveva qualcosa di vagamente perverso, e sottilmente ottuso.

Fatto che sta che Park, intervistato su un film raffinatissimo, che mescola mélo, thriller procedurale, noir e perfino commedia, ha dovuto ripetutamente rispondere a domande sull’assenza dei temi della violenza e della vendetta, e sul cosa fosse cambiato in lui nel corso di questi venti anni. Come se un regista, un autore, non possa affrontare il cinema in altri modi e con altri temi.
Con compostezza tutta orientale, Park ha risposto con elegante semplicità a queste osservazioni non sempre acute.
Sulla violenza, e sulla sua assenza, ha per esempio spiegato che “non è che l’arte si debba ammorbidire per via dei tempi difficili he abbiamo vissuto. Semplicemente volevo che in questo film lo spettatore prestasse la massima attenzione alle sottili variazioni delle emozioni provate dai protagonisti, quindi ho tolto tutto ciò che potesse risultare troppo eccitante e stimolante per i sensi, in modo da ottenere la massima attenzione ai sentimenti”.
Nega anche, giustamente, Park, di aver perso una certa qual irruenza giovanile: “Non so se dovrei cercare del coraggio per fare un film come Old Boy oggi”, ha detto, “ma c’è del coraggio anche in questo film, ma di tipo diverso. Perché ci solo le aspettative, le etichette, le definizioni di quello che è lecito attendersi da un mio film, di cosa debba essere un mio film. Da quello io mi devo distaccare: è facile continuare a fare qualcosa che hai sempre fatto, più difficile è distaccarti e fare qualcosa di diverso. In questo caso sono tornato ai fondamentali, al linguaggio base del film, con un numero minimo di elementi per raccontare quello che volevo in modo tale da essere convincente per il pubblico, e questa è stata una vera sfida”.

Park, che ha poi tenuto a rassicurare chi non si rassegnava, rivelando di avere diverse sceneggiature già scritte, tra le quali ci sono ancora storie di vendetta, ha sottolineato come, tra Old Boy e gli altri suoi film e questo Decision to Leave il filo rosso sia quello del “dilemma morale. Certo, cambia il modo in cui questo dilemma appare e si manifesta, e il tema della giustizia è in qualche modo legato al dilemma morale”.
Altro elemento comune, secondo Park, tra Old Boy e Decision to Leave è il fatto che siano, assieme a Thirst, i film che più si concentrato sulle emozioni umane fondamentali e universali, mettendo un po’ da parte, invece, le riflessioni sulla società coreana che sono presenti negli altri suoi lavori.
“Quello che ho fatto è stato sedermi al computer, scrivere, parlare col mio co-sceneggiatore, scrivere ancora. Quella di Decision to Leave è una storia che ho inventato, e se dovessi confrontare il mio stato d’animo tra quando facevo Old Boy e quando ho lavorato su questo, mi sento di dire che ero la stessa persona”, ha aggiunto Park. “Non penso sia una cosa utile cercare di fare la psicanalisi di un autore a partire dai suoi film, o di un arista dalla sua opera. Se dovessi provare a indagare la psicologia di gente come Kafka o Hitchcock, la cosa non mi aiuterebbe affatto a godere delle loro opere. Se hai il tempo per fare la psicanalisi dell’autore, allora è meglio che lo usi per analizzare i personaggi”.

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  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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