Antonio Capuano: il rabdomante a cui mancano le chiacchierate sul nulla con Sorrentino
Il regista napoletano Antonio Capuano è stato protagonista con Tommaso Ragno in Piazza con Il buco in testa al Pesaro Film Festival. Un fiume in piena fra ricordi, il rapporto con Paolo Sorrentino, l’amore per il dialetto, la libertà e il diritto di sbagliare.
Sono le 18.30, ma Antonio Capuano non vuole spritz o aperitivi. Per lui un caffè. Un napoletano da manuale, che non riesce a stare lontano dal mare e dal dialetto. Infatti a Roma è durato pochi anni, “in un attico splendido a Torre Argentina”. A Pesaro sembra a suo agio, in un festival che omaggia gli indipendenti e rivendica la costante ricerca di un cinema nuovo. In Piazza è stato presentato il suo ultimo film, Il buco in testa, che a noi è piaciuto molto. Occasione per ritrovarsi dopo un paio d’anni con il protagonista, insieme a Teresa Saponangelo: Tommaso Ragno, che è anche nella giuria del concorso del Pesaro Film Festival.
È stato un anno frenetico di riscoperta di questo regista eterno irrequieto, dalla sensibilità acuita da un senso di libertà fuori delle mode. “Un anno di merda”, però, dal punto di vista personale. “Se non c’è la felicità, sticazzi della carriera”, ci risponde quando invochiamo con superficialità un anno scintillante, concluso con un David di Donatello. Un autore che parla di felicità, riconduce la complessità fumosa alla ricerca della semplicità, della libertà di inseguire la vita e la realtà. Non è comune, ed è molto bello ascoltare una persona così, che oltretutto risponde senza applicare formule precotte. Un fiume in piena da cui ci siamo fatti attraversare con piacere, rinunciando a guadarlo.
Il tormentone “non ti disunire” pronunciato dal suo “omonimo" sorrentiniano in È stata la mano di Dio è diventato un fenomeno sociale, rinfacciato anche dai suoi vicini, a quanto dice Capuano. Non arriviamo a definirlo un vero alter ego, però, visto che Capuano alza il tono della voce, con gesticolate incluse - un vero marchio di fabbrica -, quando rivendica una bracciata natatoria di altro livello rispetto all’attore che l’ha interpretato. “Poteva prendere uno che non nuotasse una chiavica, Paolo. Ma falli, i provini”, dice. Avvertenza valida da qui in avanti: le dichiarazioni sono rese smussando le irruzioni costanti del dialetto nel suo eloquio irresistibile. Per manifesta incapacità di chi le riporta, che sfocerebbe presto e volentieri nel ridicolo.
A proposito del suo rapporto con Sorrentino, risponde con uno stentoreo “insomma, sì e no” alla domanda se si è ritrovato nel film candidato all’Oscar. “Paolo ha il suo sguardo, ed è giusto che io lo accetti. Rompo il cazzo, ma non sarei mai così sgarbato e violento a teatro con un’attrice. Ho nostalgia di Paolo, uno dei pochi autori veri. Mi ricordo i nostri incontri per un caffè. Parlavamo di niente, di aria, di cazzate. Quando è andato a Roma mi è mancato, ma anche tuttora. Ormai è imprendibile. L’altro giorno gli ho mandato un messaggio, con la foto di un uccello di legno dipinto che ho messo sul mio mandarino. Mi ha risposto: bellissimo. Basta. Siamo rimasti amici ma purtroppo siamo distanti, non solo fisicamente. Lo sento. Poi gliel’ho detto: ma che ti metti a fare le fiction. Mi ha risposto che gli davano talmente tanti soldi”.
Sulla serialità non sente ragioni, Capuano, ne ha per tutti. Se la prende anche con Esterno notte di Bellocchio. “Ma taglia, togli di mezzo, invece deve allungare per rispondere ai canoni dei produttori che gli suggeriscono come cazzo fare. Mi offende che il cinema si sia arreso, è servo della televisione. Prima i registi si difendevano". Non si rassegna a defirsi maestro (“come dicevo ai miei studenti, dovete venire voi e allora insieme forse si fa qualcosa della mia esperienza”), anche se Tommaso Ragno lo raggiunge, lo abbraccia, lo definisce tale e i due rievocano la lavorazione de Il buco in testa.
“Adesso che lo rivedo, per me è come parlare di un familiare”, dichiara l’attore. “L’intensità sua di parlare te la porti sul set. Anche se devi fare i compiti, poi lì salta tutto per aria. È quello il privilegio, la sensibilità della natura simile al teatro. Antonio è il primo spettatore. Mi ricordo una scena girata per strada, senza fermare il traffico, in cui non capivo niente e vedevo lui in lontananza fare dei gesti da rabdomante. Con lui chiudi gli occhi e lo fai, è una di quelle rare volte in cui fai del cinema, non solo un film. È un rapporto che ti restituisce il senso profondo di questo mestiere. Il buco in testa racconta delle tracce a distanza di tempo della stagione del terrorismo brigatista, dell’impegno politico degli anni Settanta. Io non l’ho vissuto quel periodo, ho fatto come quando vai per le rovine dell’Antica Roma: una piccola parte la vedi, l’altra la immagini, diventi un evocatore di fantasmi. Oggi in cui tutto è al ribasso, Antonio è qualcuno che ti chiede di andare oltre".
Tommaso Ragno ha perso una quarantina di chili negli ultimi due anni, e tutto è partito proprio dall’input di Capuano, nel suo stile più puro. “Fai schifo, se vuoi fare il film devi dimagrire. Così mi ha detto. Ti porta in un baratro in cui ti senti però protetto”.
“Era bello quadrato”, ricorda effettivamente il regista. “Ci ridevamo sopra, quando diventava sempre più secco. È un uomo con occhi bellissimi. Siamo stati bene a Milano, insieme anche a Teresa Saponangelo, senza fare niente di che. Sono loro, gli attori, che ti danno delle cose che aggiungono spessore al personaggio. Perché si mischia la vita, che è la prima cosa. Senza la realtà non esiste un cazzo. Un attore deve diventare, avere qualità metamorfiche. Chi vuole arrivare per altre vie, non ci riesce. Per questo il loro è un grande mestiere, evadi e diventi qualcun altro. Degli anni Settanta ricordo come si rispondeva in prima persona degli sbagli fatti. Sarà perché ero giovane, ma li salvo, ma era un periodo terribile ma vivace. Viva l’errore, a volte è giusto e importante commetterlo, ti fortifica. Non siamo tutti Dio e angeli. È stato l’unico periodo in cui i democristiani si cacavano sotto, poi non l’hanno fatto più. Oggi c’è un’immobilità terribile, il contemporaneo è melmoso. Il consumismo ci ha stroncati".
Chiede con discrezione di spegnere il ventilatore appena dietro di lui. Il caffè l’ha finito con un sorso da tre quarti d’ora. Il mare è a pochi metri, dopo la statale che corre parallela. Si alza un po’ di venticello.