Star Wars: Skeleton Crew, la recensione della serie con Jude Law carismatico pirata
Star Wars: Skeleton Crew, creata da Jon Watts e Chris Ford, è un'originale aggiunta al roster delle serie di Star Wars su Disney+, ma forse le manca qualcosa per diventare davvero memorabile, a dispetto di una grande interpretazione di Jude Law.
Sul pianeta At Attin quattro ragazzini (gli amici Wim e Neel, le amiche Fern e KB) sognano o si creano avventure: Wim in particolare non regge molto l'idea di un futuro da impiegato, caldeggiato da suo padre, e un giorno con gli altri rinviene in una zona isolata un'astronave abbandonata. La sua imprudente attivazione proietta per la prima volta i quattro fuori dal loro mondo. La presenza a bordo del droide nostromo SM-33 (voce originale di Nick Frost) suggerisce che l'astronave avesse un legame con dei pirati galattici. L'aiuto di un enigmatico poco di buono come Jod Na Nawood (Jude Law) potrebbe essere di grande aiuto per tornare a casa... ma ci sarà da fidarsi?
Star Wars: Skeleton Crew è una delle proposte più originali arrivate dalla Lucasfilm su Disney+: al timone ci sono il Jon Watts degli Spider-Man con Tom Holland, insieme a Chris Ford, che per lui aveva cosceneggiato proprio Spider-Man Homecoming. Sono due autori che si sanno muovere tra i protagonisti più giovani, e qui hanno avuto la curiosa idea di adottare un approccio alla Goonies o Explorers, raccontando la naturale voglia di avventura dell'infanzia / prima adolescenza, appagata da un'avventura vera e pericolosa. Questa libera esplorazione dei generi cinematografici nell'alveo di Star Wars porta il marchio di Jon Favreau e Dave Filoni come produttori supervisori, già responsabili con The Mandalorian di una virata western della Galassia Lontana Lontana. L'anima del pastiche è anche nella spiritosa e spavalda colonna sonora piratesca di Mick Giacchino, che rivisita in quello stile le sonorità di John Williams.
Devo confessare però che, al di là dell'apprezzamento per la freschezza dell'impianto generale, ho faticato a rimanere coinvolto nelle vicende raccontate, avendo anche una certa difficoltà a capire le ragioni della mia freddezza. A differenza infatti di quanto accaduto per The Acolyte, qui il trattamento della storia è piuttosto a fuoco, ma se in quel caso gli interessanti temi in ballo erano ostacolati da un andamento confuso, qui ho dovuto ammettere a me stesso che qualcosa per me proprio alle fondamenta di Skeleton Crew funziona poco. Credo di aver isolato la mia ragione: i modelli cinematografici ai quali si rimanda la serie prevedevano la nostra realtà di tutti i giorni messa a confronto con lo straordinario. Per quanto Ford, Watts e gli altri autori della serie si sforzino di mantenere questo equilibrio, ci sono dei limiti: At Attin rimane un pianeta di Star Wars, dove il migliore amico di Wim è Neel, un alieno con proboscide. Il tran-tran quotidiano dei quattro protagonisti, Wim in primis, mi appare già abbastanza straordinario, per cui il contrasto con il resto della galassia è un contrasto per me solo a parole, non nei fatti.
E qui forse si nasconde la definizione migliore per Skeleton Crew: è una serie per bambini e bambine. Nel senso positivo, non in quello dispregiativo, riferendomi anche all'idea di "bambino interiore". Solo abbracciando infatti un punto di vista infantile, magari quello con cui i più anziani videro per la prima volta Guerre stellari, si può accettare l'idea della normalità di Wim, Fern, Neel e KB, trovandoli un valido veicolo di immedesimazione per il loro straordinario. La serie peraltro, non lesinando su un allestimento molto ricco, a volte originale nel production design (At Attin è uno "Star Wars medioborghese"!), tarda un po' ad approfondire tutti e quattro i piccoli protagonisti: KB per esempio smette di essere accessoria solo nel bell'episodio diretto da Bryce Dallas Howard, il sesto su otto, dove diventa una raffinata metafora della disabilità.
Se Skeleton Crew regge i suoi squilibri è soprattutto grazie alla forza di Jude Law, che probabilmente incarna uno dei migliori (semi)villain della nuova era di Star Wars. Ambiguo sin dall'inizio, con un trascorso misterioso che accenderà sicuramente gli sforzi dei teorizzatori starwarsiani più nerd, Jod è convincente sia quando ha momenti di dolcezza, sia quando sfodera la sua crudeltà da pirata: non basta la sceneggiatura, in questi casi per unire gli opposti serve un'interpretazione all'altezza, in grado di cogliere l'umanità anche di queste contraddizioni, nella mimica facciale, nella postura, nella voce, nella pesante presenza scenica. Senza nulla togliere all'impegno del suo doppiatore storico Riccardo Niseem Onorato, vi consigliamo davvero di godere della sua performance in lingua originale, se vi va.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"