Nastri d'Argento Grandi Serie 2024, Intervista a Giacomo Giorgio: "Questo lavoro mi ha reso un essere umano migliore"
In occasione della cerimonia di premiazione, a Napoli, dei Nastri d’Argento Grandi Serie, abbiamo incontrato Giacomo Giorgio alias Ciro Ricci di Mare Fuori, che ha ricevuto il Premio Guglielmo Biraghi e il Premio Italo. In una lunga intervista l’attore ci ha parlato del suo modo di lavorare e di vedere la vita e i ragazzi di oggi.
La prima volta che lo abbiamo visto in televisione, aveva un sopracciglio rasato, i capelli pettinati con il gel, una maglietta nera e un sorriso beffardo. Stava su una barca a vela insieme ad altri ragazzi, tutti detenuti come lui dell'IPM di Napoli. Più che una persona era un personaggio, che nel suo cognome portava scritto un destino criminale e un’impossibile redenzione. Ispirato a un certo Sasà, che nel carcere minorile di Nisida si comportava da capobranco, Ciro Ricci è stato una delle figure più carismatiche della prima stagione di Mare Fuori, la serie rivelazione di questi ultimi anni che ha contribuito a rendere Napoli uno degli epicentri della serialità televisiva italiana, oltre che del buon cinema. Parzialmente riabilitato nella quarta stagione di MF, Ciro Ricci ha portato fama e fortuna all'attore che lo ha interpretato, ma se oggi Giacomo Giorgio si ritrova a essere corteggiato da numerosi showrunner e produttori, è anche perché possiede quel certo non so che di fronte al quale un regista o un casting director finisce per "capitolare".
Nel piovoso weekend appena passato, Giacomo Giorgio è stato fra i premiati della quarta edizione dei Nastri d'Argento Grandi Serie. Vincitore del Premio Guglielmo Biraghi e del Premio Italo, l'attore è salito sul palco del Teatro di Corte di Palazzo Reale a Napoli e ha disarmato le prime file di spettatori con il suo sorriso killer, per poi dedicare il riconoscimento a sua nonna che non c’è più e che un tempo gli regalava 200 dei 400 Euro di pensione che percepiva mensilmente perché realizzasse il suo sogno di recitare. Forse è anche per questo che Giacomo considera il mestiere dell'attore come una missione, quasi una religione, e siccome si prepara sempre scrupolosamente per un ruolo, ci confida, durante una piacevole intervista one to one, di non capire perché nessuno fino ad ora abbia inventato un David di Donatello per i migliori attori di serie: "Credo ci sia, nei confronti di chi fa serie tv e fiction, un po’ di snobismo da parte del mondo del cinema, che cerca continuamente l'alto, l'intellettuale, il filosofico. Se io avessi voluto fare il filosofo, avrei fatto il filosofo. Il cinema è un’altra cosa, e per me dovrebbe essere molto più popolare, in altre parole aperto a tutti e accessibile da parte di tutti. Ci sono film di cui si dice, quasi con orgoglio: 'Eh, l’hanno capito in pochi’. Ma se l'hanno capito in pochi, vuol dire che il film è sbagliato! C'è grande classismo nel cinema e, nel caso dell’attore, il giudizio viene influenzato dal campo in cui esercita la sua arte. Per questo sono felicissimo che esistano premi come i Nastri d'Argento Grandi Serie, che sono riconoscimenti prestigiosi perché dati dai giornalisti. Sono onorato di essere stato scelto come destinatario del Premio Guglielmo Biraghi e del Premio Italo, perché un premio è lo splendido finale di un progetto".
Oltretutto le serie tv sono piuttosto impegnative per gli attori coinvolti…
Esatto. Una serie è solitamente più difficile di un film perché è molto più lunga. Un film lo giri in 4, 5, 6 settimane, mentre in una serie il personaggio lo devi portare con te per 6, 7 mesi. Devi inoltre raccontare un arco narrativo molto più lungo e lo devi fare avendo molto meno tempo a disposizione, perché, paradossalmente, se io faccio un film, giro due scene al giorno, in un giorno complicato arrivo magari a farne 3. In una serie fai 9 scene al giorno: una scena dell'inizio della puntata 1, una scena del finale della puntata 20 e così via. Arrivare a fare una performance impattante in una serie è difficilissimo da un punto di vista attoriale, quindi, quando uno dice: "Bravo quell’attore in quella serie", significa che l'attore in questione è proprio bravo, perché altrimenti non potrebbe ottenere un simile risultato. Ho l'impressione che la divisione fra attori di cinema e di serie tv sia una cosa tipicamente italiana, perché per esempio Matthew McConaughey ha fatto True Detective, che è una delle serie più belle in assoluto, ma nello stesso tempo ha vinto l'Oscar e ha recitato in uno dei film migliori di sempre, che è Interstellar. Poi c'è Cillian Murphy, che ha fatto 6 stagioni di Peaky Blinders e adesso ha vinto l'Oscar.
So che sei un grande estimatore del metodo Stanislavskij e che ami immergerti completamente in un personaggio. Immagino che in una serie un simile approccio diventi ancora più totalizzante…
Il fatto è che si tratta dell'unica maniera per me possibile di avvicinarmi a un personaggio, ed è la cosa che mi ha fatto scegliere questo mestiere e non un altro. Non a caso trovo molto noioso avere un approccio solamente tecnico al lavoro dell'attore. Si rischia di perdere la parte emotiva di un ruolo. In fondo la magia del cinema (e delle serie tv) sta proprio nell'umanità e nei sentimenti dei personaggi. Come attore, il mio scopo è riuscire a rivolgermi a un buon numero di esseri umani che, mentre mi guardano, "cadono" nella mia interpretazione, si specchiano dentro di me, e pensano: Vorrei essere come lui, oppure: Io sono come lui, oppure: Io sono come lui ma non ho il coraggio di fare quello che ha fatto lui, e quindi tornano a casa dicendo: "Allora mi devo impegnare, devo avere il coraggio di comportarmi esattamente come lui, piuttosto che sognare o speranze". Al cinema e in tv accadono questi miracoli e passano attraverso le emozioni, soprattutto quelle viscerali.
Di solito quindi parti da un sentimento, un'emozione. Ti capita invece, almeno ogni tanto, di cominciare da un gesto, da un atteggiamento fisico?
Non esiste un metodo che funziona in ogni caso, perché poi ogni attore ha il suo. A me piace cercare di essere il più completo possibile, quindi al principio cerco di avere una struttura e una base tecnica, per cui tutto ciò che riguarda l'atteggiamento fisico: la voce, la mimica facciale, la gestualità e così via, ma l'aspetto più importante resta per me l'emotività, per cui che cosa vive il personaggio, cosa sente, in che cosa è diverso da me, perché più un personaggio è lontano da chi lo interpreta, più è complicato da far proprio. Viceversa, più mi somiglia e più è semplice, perché a quel punto si tratta di fare un po’ me stesso. Certo è che avere a che fare con un personaggio per tanto tempo comporta un prezzo da pagare, ma io lo pago volentieri, perché non solo è l'unica maniera che conosco per interpretarlo bene, ma mi sentirei anche disonesto nell'avvicinarlo in modo diverso.
Per te che sei un attore innamorato del proprio lavoro, com'è stato interpretare Federico della terza stagione di Doc, e cioè un personaggio il cui tratto dominante è la svogliatezza?
Federico è stato per me un personaggio molto simile a Ciro, nel senso della preparazione. Sono due personaggi estremamente diversi, però sono entrambi molto lontani da me: Ciro per ovvi motivi e Federico perché molto milanese e molto sfaticato, molto figlio di papà. All'inizio della terza stagione non ha voglia di fare niente, e in questo è molto differente da Ciro, e quindi ho cercato prima di tutto di fare mio quell'atteggiamento, quella superficialità e quella svogliatezza che, nel caso di Federico, sono legate a una condizione economica benestante ma in realtà nascondono qualcosa di molto intimo e doloroso, e cioè la solitudine. Federico è un ragazzo che è cresciuto da solo, con un padre molto famoso nel mondo della medicina e una madre che vive in India e pensa prevalentemente a sé.
Da quando fai l'attore il tuo sguardo verso il mondo è cambiato? Oppure vedi la realtà esattamente come prima?
Da quando faccio questo mestiere con continuità, quindi da 5,6 anni, ho sviluppato un'attenzione all'osservazione che prima non avevo, ma anche una negazione del giudizio, nel senso che prima ero una persona molto giudicante. Dicevo spesso: "No, questo è sbagliato". Adesso mi capita raramente, perché, da attore che ha a che fare con dei personaggi, mi rendo conto che dietro a ogni comportamento c'è una motivazione ben precisa. Fare l'attore significa mettersi nei panni di un altro e comprenderlo. Proprio per questo sono convinto che sarebbe utile studiare recitazione a scuola fin dalle elementari, perché l'esercizio di mettersi nei panni di un'altra persona ti impedisce di giudicarla e ti rende un essere umano migliore. La verità è che, e sono fiero di poterlo dire, questo lavoro mi ha reso un essere umano migliore.
Una volta hai detto che la generazione di tuo nonno e dei tuoi genitori voleva cambiare il mondo e guardava con entusiasmo alla vita, mentre i ragazzi di oggi sono quasi tutti ipocondriaci e depressi. La pensi ancora così?
Credo che la generazione di mio nonno, ma ancora di più la generazione di mio padre, sia stata una generazione fantastica, perché da tanti punti di vista la vita era più difficile - pensiamo ai passi avanti compiuti dalla tecnologia e dalla medicina in tempi recenti. Tuttavia, avendo meno cose a portata di mano, quelle persone sognavano di più. Quella generazione vedeva un futuro, guardava lontano e diceva: "Fra 30 anni sarò così, vorrò fare questo", e se, passati 30 anni, molti non sono arrivati dove volevano arrivare, almeno ci hanno provato e non sono poi così infelici. La mia generazione invece, forse per eccesso di cose, non ha uno sguardo sul futuro, e quindi se mi capita di parlare con un ragazzo della mia età o più giovane, alla domanda: "Dove sarai fra 30 anni?" risponde: "Non so neanche se sarò vivo". Magari non è così per tutti, ma credo che questa sia la tendenza generale. La depressione adolescenziale è molto diffusa, così come l'ipocondria. Hanno preso piede, insomma, diversi disagi che prima quasi non esistevano, e in questo senso sono convinto che la recitazione e l'arte in generale, possano essere di grandissima utilità.
Giacomo Giorgio è stato premiato dal Sindacato dei Giornalisti Cinematografici Italiani per la sua interpretazione in: Mare fuori, Per Elisa - Il caso Claps, Noi siamo leggenda, Doc - Nelle tue mani.