Trafficanti - la recensione della commedia nera con Jonah Hill e Miles Teller
Il regista Todd Phillips rilegge una storia vera su due goffi mercanti d'armi.
David Packouz (Miles Teller) vive a Miami, la sua ragazza aspetta una bambina e lui non ha un futuro, cercando di vendere lenzuola di qualità alle case di riposo. Il caso lo rimette sulla strada del vecchio amico del liceo, Efraim Diveroli (Jonah Hill), esuberante "vincente" che rastrella centinaia di migliaia di dollari alla settimana commerciando armi. Ideologicamente contrario, David viene però sedotto dal guadagno facile, basato sul procurare all'Esercito degli Stati Uniti le forniture minori che i grossi rifornitori snobbano. Riusciranno David e Efraim a non farsi tentare dal colpo grosso?
Se ricordate Finché c'è guerra c'è speranza (1974) di e con Alberto Sordi, oppure Lord of War (2005) di Andrew Niccol con Nicolas Cage, siete sulla buona strada per inquadrare questo Trafficanti, che distrattamente potrebbe essere ascritto al filone della commedia scorretta fine a se stessa, sulla scia di Una notte da leoni o Parto col folle. A dirigerlo c'è dopotutto proprio il Todd Phillips di quei lungometraggi, esperto narratore demenziale di collisioni tra uomini normali e personalità fuori controllo. Trafficanti tuttavia è ispirato a una storia vera, raccontata in un articolo pubblicato su Rolling Stone, e come tale diventa un piacevole corto circuito tra contenuti tutt'altro che comici e le tipiche caratterizzazioni del regista: Hill ripropone il suo personaggio sopra le righe, saccente, erotomane e ambizioso, mentre Miles Teller funge da debole uomo medio trascinato nel baratro di una vita grottesca.
La struttura funziona bene, pur seguendo pedissequamente ciò che ci si aspetta da questo tipo di racconto, in termini di tappe all'interno del plot: la "scorrettezza politica" in questo caso è finalizzata a ritrarre un aspetto della realtà che quasi tutti conosciamo (almeno di sfuggita) e che in effetti si tende a gettare sotto il tappeto. Un Efarim disgustoso e un David debole si muovono in un intero sistema che instrada nella relativa normalità una macchina di produzione e distribuzione finalizzata allo sfruttamento della morte. Non importa quanto possa sembrare scontato o già raccontato: colpisce sempre, mentre lo humor, nemmeno tanto insistito nell'economia globale, accresce il paradosso con cui si convive quotidianamente. E su tutto aleggia la difficoltà di dare un senso al denaro e al successo: su questo tema, l'ambiguo finale è un ben accetto scarto sulle soluzioni più facili di questo tipo di storia.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"