Smetto quando voglio 2 - Masterclass: la nostra recensione
Il secondo capitolo della trilogia di Sydney Sibilia è più indiavolato, movimentato e... cinematografico.
A sentire l’affiatata, irresistibile e ormai leggendaria brigata di attori di Smetto quando voglio - Masterclass, a rendere rivoluzionario nel panorama del cinema italiano il secondo capitolo della trilogia di Sydney Sibilia con protagonista la Banda dei ricercatori sono la scrittura - agile colta e ironica - e la regia - mossa, adulta, pop.
Ora, è normale che Edoardo Leo, Stefano Fresi, Valerio Aprea, Libero De Rienzo &. Co. facciano il tifo per il loro Peter Jackson, che li ha riuniti in una Terra di Mezzo fra l’Università La Sapienza e la Puglia per girare contemporaneamente due film di una saga movimentata, avventurosa e più simile a un fumetto che a un fantasy. Però, i magnifici 7 - e con loro le new-entry Luigi Lo Cascio, Giampaolo Morelli e Greta Scarano - non si sbagliano poi tanto, perché Smetto 2, che pure pesca dal calderone delle trilogie cinematografiche americane anni ’80, delle attuali e perfette serie tv, dall’abitudine (tutta contemporanea e ancora made in USA) di giocare con rimandi, raccordi, flashback etc., e dai nostri vari Amici miei e Fantozzi, ha una cifra stilistica tutta sua, ora acida e psichedelica, ora epica, che ne fa davvero un “unicum”.
E poi, per fortuna, il film non è la copia carbone del capitolo iniziale della saga, in primis per via della sua incursione - entusiastica, gioiosa e a tratti volutamente sgangherata - nell’action. E’ proprio inoltrandosi in questo territorio così poco italiano che Masterclass diventa grande cinema, cinema ad alto budget of course, di riprese articolate e massiccio uso di stunt, cinema che in un prodigioso assalto al treno gareggia bonariamente e con modestia con un Bond movie o un Indiana Jones, caricandosi di uno humour sofisticato sprigionato in maniera sempre più travolgente da personaggi amabili e irresistibili.
Va detto, però, che, per via di Pietro Zinni (Edoardo Leo), che ruba troppo spazio, qualche componente dell’amabile cricca rimane in sordina (come Arturo Frantini e Andrea De Sanctis), qualcuno invece attende paziente uno sviluppo (Lucio Napoli, Giulio Bolle) che arriverà magari nel numero tre, qualcun altro infine diventa, seppur fra stralci di verità, una semi-caricatura di se stesso (Alberto Petrelli). Qualche perplessità la suscita anche l’Ispettore di polizia Paola Coletti, che non ha abbastanza verve, ma è la coralità la miccia che fa esplodere felicemente la commedia prodotta dal duo Procacci-Rovere, che parte piano per poi accelerare vorticosamente come il furgone dell’archeologo di Paolo Calabresi, lanciato all’impazzata verso una risata arguta che ancora una volta si alimenta del contrasto fra la necessità di essere degli eroi (stavolta perfino dei supereroi) e la proverbiale goffaggine dell’accademico tutto cultura e zero machismo.
E se l’immenso sapere e la proprietà di linguaggio delle dieci menti mortificate dall’impietoso mondo di oggi sono ancora una volta potentissimi propulsori di ilarità, si insinua nello stesso tempo nel rocambolesco racconto una riflessione inquietante sull’inadeguatezza del nostro paese, coacervo di raccomandati e di ammanicati. Sibilia accenna perfino al tema della fuga di cervelli, e pigia nuovamente il pedale del cinismo, ma anche qui non sempre approfondisce, incalzato dal ritmo di cose devono accadere, smart drugs da trovare e analizzare il più rapidamente possibile, e fedine penali da ripulire.
Sono gli oneri di un film "in mezzo”, è chiaro. Masterclass, fra i suoi onori, ha pure un villain da 10 e lode, che sembra uscito dall’universo Marvel anche se ha l’aura di un bandito da vecchio western o di un antagonista da dramma antico. Parliamo del Walter Mercurio di Luigi Lo Cascio, che appare verso la fine e che lontanissimo, per esempio, dal Peppino Impastato de I cento passi, è corpo e non parola ed è una delle ragioni per cui attendiamo impazienti il terzo film, da cui ci aspettiamo, accanto all’adrenalina, il riscatto di personaggi in cui ci identifichiamo e un’altra opera che parli all’intelligenza dello spettatore, stufo delle solite storie buffe ormai prive di qualsiasi appeal.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali