Pixels: recensione del film con Adam Sandler e Peter Dinklage
I videogiochi anni Ottanta attaccano la Terra: reagiscono i nerd veterani
Nel 1982 Brenner (Adam Sandler) era una star dei coin-op, imbattibile in classici come Pac-Man, Galaga, Asteroids e Donkey Kong; trent'anni dopo ha un matrimonio fallito e installa home theater, mentre l'unico legame col passato è l'amico Cooper (Kevin James), ex-nerd ora contestato Presidente degli Stati Uniti. Dopo un attacco alieno, proprio Cooper si rivolge a Brenner: gli alieni stranamente si manifestano come i nemici dei vecchi arcade. Le riprese di un campionato videoludico del 1982, spedite allora nello spazio, sono state infatti interpretate come dichiarazioni di guerra. Per far fronte alla minaccia, Brenner userà anche le capacità del disadattato nerd Ludlow (Josh Gad) e del suo vecchio rivale di un tempo, il laidissimo Eddie (Peter Dinklage).
Pixels di Chris Columbus è un film molto, molto cretino. E' il suo pregio principale. Non è solo uno dei tanti blockbuster indirizzati agli adolescenti (che comunque gradiranno): sembra proprio realizzato e concepito da adolescenti, in pieno stato di goliardia avanzata da uscita del sabato sera. Adam Sandler, coproducendo anche il film con la sua Happy Madison, ha contaminato la classica offerta dell'action condito di effetti visivi con la libertà demenziale delle sue scampagnate cinematografiche medie, trascinando con sè l'immancabile Kevin James. Una scena che comincia seriamente può sfaldarsi nel delirio, un'altra con un incipit idiota sfocia in un attimo di tenerezza: nell'oceano di cinecomic o colossi come Jurassic World, che in fondo si prendono sul serio anche quando ricorrono all'ironia, la sgangheratezza sfrontata di Pixels ti spiazza. Dovranno ammetterlo anche i detrattori, che come sempre stanno candidando Adam per i prossimi Razzie. Soprattutto, gli sceneggiatori Herlihy & Dowling (scuderia Sandler anche loro) non perdono tempo a cercare spiegazioni plausibili per l'assurdità alla base della storia: come un eloquente cameo di Dan Aykroyd conferma, il modello è Ghostbusters, cioè commedianti che se la spassano alle prese col sovrannaturale / fantastico.
L'omaggio agli arcade doc era stato già garantito con più finezza da Ralph Spaccatutto, quindi Pixels non dice da questo punto di vista nulla di nuovo, a parte un debordare di Q-Bert come spalla petulante degli eroi. Prendendo tuttavia le mosse dal suggestivo e spiritoso cortometraggio omonimo di Patrick Jean del 2010, tuttora visibile su YouTube, Chris Columbus, ormai a suo agio con gli effetti dopo i primi due Harry Potter, riesce a confezionare tre-quattro sequenze d'azione esteticamente piacevoli: lontane dal fotorealismo semiplausibile che va per la maggiore, sono la traduzione visionaria dell'atmosfera di perenne ricreazione che Sandler, Gad e il resto della gang emanano.
Ciò che impedisce a Pixels di lasciare il segno è però proprio un pericoloso risvolto della medaglia dell' "approccio Sandler": quando non funziona, l'anarchia produce battute e gag che cadono nel vuoto e lasciano il pubblico impietrito, mentre la goliardia, si sa, corre il rischio sempre di divertire più chi la vive che chi la osserva, un problema che l'attore e la sua gang non si pongono spesso. Pixels insegue ogni spunto di scemenza a corpo morto, quindi le sue felici intenzioni e i suoi pregi di cui sopra sembrano non essere sostenuti da quel metodo che compatterebbe l'esperienza e valorizzerebbe di più l'atmosfera sincera che si respira. Metodo che, per capirci, in Ghostbusters c'era eccome.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"