Match Point: Woody Allen, l'Inghilterra, il caso e una Scarlett Johansson supersexy
Sciolto il contratto con la DreamWorks, Woody Allen nel 2005 volava a Londra per il primo di una lunga serie di film girati in Europa, firmando un dramma esistenziale mascherato da commedia mascherata da thriller. La recensione di Federico Gironi.
Quindici anni fa, quando uscì al cinema, non è che Match Point mi avesse proprio conquistato.
Oggi, quindici anni dopo, a rivederlo, lo apprezzo molto di più, e soprattutto sono in grado di vedere quanto quel film abbia rappresentato una svolta importante nella carriera di Woody Allen.
Nel 2005, Allen veniva dal contratto stipulato con la DreamWorks, sotto il quale aveva realizzato Criminali da strapazzo, La maledizione dello scorpione di giada, Hollywood Ending, Anything Else e Melinda e Melinda. Film non tutti memorabili, e che soprattutto - soprattutto gli ultimi - non erano andati bene al botteghino. Di conseguenza, come racconta Allen nella sua autobiografia, "non trovavo più finanziatori per i miei film, dato che non erano molto redditizi mentre io non ammettevo alcuna forma di controllo, come se fossi Toscanini."
Per fortuna sua, e nostra, Allen trovò in Inghilterra chi era disposto a mettere a disposizione i soldi per il suo nuovo film, senza avere la benché minima intenzione di mettere il becco in questioni artistiche e creative.
E così Match Point, che Allen aveva originariamente ambientato agli Hamptons e a Palm Beach, venne girato e ambientato a Londra, con un cast al 100% inglese, con la significativa eccezione di Scarlett Johansson.
Destinata a diventare la musa di Allen nei suoi film successivi, Johansson sostituì all'ultimo minuto Kate Winslet, inizialmente scritturata per la parte, che si tirò indietro perché stanca e desiderosa di trascorrere del tempo con la sua famiglia. Winslet lavorerà poi con Allen come protagonista di La ruota della fortuna: una collaborazione che disconoscerà pubblicamente, e con toni piuttosto aspri, all'indomani del nascere nel movimento #MeToo e dei nuovi attacchi all'autore newyorchese da parte del potentissimo Ronan Farrow e di sua madre Mia.
Scarlett Johansson, invece, è tra le poche attrici che continuano a sfidare lo stigma sociale e a difendere pubblicamente Allen da ogni accusa e ogni maldicenza, e di questo gli va dato credito.
Una Scarlett Johansson che, in Match Point, è perfetta nei panni dell'aspirante attrice supersexy che fa perdere la testa all'arrampicatore sociale interpretato da Jonathan Rhys-Meyers, e che costella il film di Allen di una sensualità palpabile e conturbante. "Sessualmente radioattiva", la definisce Allen nella sua biografia.
Attenzione: non è una notazione patriarcale, questa. Per riequilibrare la parità di genere dovrei forse dire qualcosa di Ryhs-Meyers, ma non lo farò, e correrò il rischio di subire dure reprimende.
Perché Match Point è un film che parla di classi sociali e di infedeltà; e, perlomeno per il secondo di questi due aspetti, la carica erotica di Scarlett Johnasson è fondamentale per gli equilibri del film.
Match Point, quindi, è un film che parla di un giovane arrampicatore sociale e di come rischia di vedere tutto il lavoro svolto per ottenere quel che desidera - ovvero denaro, rispetto e potere - andare in fumo per via della sua incapacità di tenerlo nei pantaloni e della sua relazione clandestina con una bella attrice americana che, peraltro, è anche la ex di suo cognato, e che lui aveva iniziato a frequentare quando i due erano ancora assieme. E che è disposto a tutti pur di non perdere le sue conquiste.
E però questo canovaccio, per Allen, serve solo per declinare in un contesto che ricorda esplicitamente Crimini e misfatti (di cui Match Point è una sorta di b-side) tutto il suo pessimismo filosofico ed esistenziale.
Due ore abbondanti di film, che per Allen sono tante, per collegare la scena e le parole che aprono il film (una pallina da tennis che rimbalza sul nastro, fluttua in aria, e potrebbe cadere al di qua o al di là della rete, e tutto semplicemente per un capriccio del caso) e quelle che arrivano in chiusura, pronunciate dal personaggio di Ryhs-Meyers (che Allen non ha casualmente voluto avido lettore di Dostoevskij) quando, dopo il suo delitto, aspetta di sapere se per lui arriverà o meno un castigo: "Sarebbe appropriato se io venissi preso... e punito. Almeno ci sarebbe un qualche piccolo segno di giustizia. Una qualche piccola quantità di speranza di un possibile significato."
"La vita mi poteva sembrare tragica o comica a seconda della concentrazione di glucosio nel mio sangue, ma rimaneva sempre insensata", dice a un certo punto Allen nella sua autobiografia.
Che la vita, il mondo, l'universo siano privi di senso, è qualcosa che Allen, in quel libro bellissimo, ripete quasi ossessivamente. E che nei suoi film ha sempre raccontato, ma che ha raccontato con un'evidenza quasi sfacciata proprio a partire da Match Point, che per Allen è "uno dei miei pochi film che andò al di là delle mie ambizioni" e che, da questo punto di vista, dal punto di vista del ragionamento etico e filosofico sull'insensatezza della vita e del ruolo fondamentale giocato dal caso nelle nostre esistenze, è esplicito e radicale come non era mai stato prima.
Tragedia (ci sono pure i fantasmi della colpa) travestita commedia travestita da thriller, con i tre piani che si fondono in una fludiità narrativa esemplare, Match Point è il più cupo dei film di Allen degli ultimi quindici anni. Uno dei più cupi della sua carriera.
Da quel momento in avanti, Allen non farà altro che ribadire più o meno gli stessi concetti: Irrational Man è una versione grottesca di questo film, dove alla fine il castigo per il delitto giunge per via del caso; Sogni e delitti, Blue Jasmine, Cafè Society e La ruota delle meraviglie parlano tutti, con sfumature più tragiche o più comiche, di destino, colpa, redenzione, sogni di scalata sociale.
Ma, siccome la concentrazione di glucosio nel sangue varia, ecco che Allen, da Match Point in avanti, ha anche raccontato quello che qui è clamorosamente assente, ovvero l'illusione, il sogno, il romanticismo come unici rimedi al caos insensato dell'esistenza.
E forse perché più consolatorio, o perché è la cosa più vicina alla sua indole, è stato allora che ha regalato i suoi film più belli e indimenticabili, come Midnight in Paris e Un giorno di pioggia a New York.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival