La Befana vien di notte: la recensione del film di Natale con Paola Cortellesi
Tra fantasy e fumetto, una storia per i bambini che ci dice che l'unione fa la forza e in cui il messaggio è a volte più forte dei personaggi.
Le scarpe tutte rotte ci sono, e anche cappello alla romana. C'è il sacco pieno di doni e non manca nemmeno la scopa di saggina. La scopa è dispettosa, certo, ma è veloce, anzi velocissima, e fende instancabilmente l'oscurità. Purtroppo, al sorgere del sole, smette inesorabilmente di funzionare, ma è giusto che accada, perché la Befana, si sa, vien di notte, e nel film di Michele Soavi non potrebbe essere altrimenti, visto che di giorno la vecchietta dal naso lungo e storto ha ben altro da fare. I tempi cambiano, ladies & gentlemen, e succede che sempre più donne si facciano in due, in quattro, in sei e perfino in otto, e se la maggior parte parte si divide fra lavoro, famiglia e gestione della casa, ecco che la competitor number one di Babbo Natale alterna alla consegna dei doni, preceduta da un allenamento degno di Rocky Balboa, l'attività di maestra elementare.
Proprio così: nell'epoca di #MeToo, e soprattutto nella fantasia di Nicola Guaglianone, la nonnina dispensa-carbone è diventata un'icona femminista, che esaudisce gli stessi desideri del collega lappone ma che, invece di essere testimonial della bibita gassata più famosa al mondo, tira la carretta. E, come se non bastasse, non può nemmeno sognare il grande amore, dal momento che, proprio come Connor MacLeod di Highlander, è immortale.
Questa premessa, che ci ha divertito un mondo, è il miglior inizio che possa avere un fantasy delle festività, anche se Soavi non vuole assolutamente che lo si spacci per tale. A noi, comunque, è venuto in mente il cinecomic, perché anche Batman e Superman hanno una doppia vita da mandare avanti e un segreto da custodire. Qui però il segreto è presto svelato, visto che la Befana viene rapita, e quando viene rapita da un ex bambino a cui ha rovinato l'infanzia, entriamo di prepotenza nell'ambito del fumetto, con il villain di Stefano Fresi che indossa abiti bizzarri e coloratissimi e strizza l'occhio allo Zingaro di Lo chiamavano Jeeg Robot, sempre sceneggiato da Guaglianone. Poi ci sono i bambini in bicicletta che ci riportano a certo cinema anni '80 (da E.T. L'extraterrestre a I Goonies) e perfino una spolveratina di Stranger Things e una citazione da Maledetto il giorno che t'ho incontrato.
I riferimenti sono gustosi, e i grandi li apprezzeranno. Forse i bambini non li coglieranno, ma non importa, perchè hanno altro da imparare da La Befana vien di notte, e cioè che l'unione fa la forza, che il gioco più efficace è il gioco di squadra, che più la squadra è variegata e multietnica e meglio è, e che chi pensa a sé, come il perfido Mr. Johnny, è destinato al fallimento, alla solitudine eterna. La lezione è importante, ma nell'economia del racconto il messaggio batte il plot 1-0, con il risultato che i personaggi, a tratti, finiscono per perdersi per strada. Nel loro viaggio dall’infanzia all'adolescenza, i bambini, per esempio, funzionano come "coro", ma non singolarmente, restando il bullo, la ragazzina coraggiosa, il piccolo ipocondriaco, e in più ogni tanto capita di sorprendere i giovani attori che li interpretano incerti o distratti.
Quanto a Fresi e alla Cortellesi, sono due cavalli di razza, non c'è dubbio, ma se il primo riesce a esprimere tutto il suo potenziale e sembra divertirsi un mondo a tessere perfide trame con l'aiuto di un armamentario degno del miglior Ispettore Gadget, la seconda appare un po’ sacrificata, ed è un peccato, perché Paoletta è un'attrice comica e non sarebbe stata una cattiva idea giocare di più con la sua doppia identità, o con il suo coraggio, in modo da renderla un mito volante, invece che un'eroina in sordina.
Completamente a favore de La Befana vien di notte gioca invece la regia di Michele Soavi, che nasce autore di genere e che sul set sembra essersi portato una valigia piena di gustosi giocattolini, primi fra tutti prodigiosi effetti speciali. Il nostro ha scelto però di non strafare, di non esagerare. Animato da un profondo rispetto per la tradizione popolare, ha lavorato sul filo del realismo e ha reso l'incredibile credibile e lo straordinario non ordinario ma abbastanza normale, o meglio possibile, possibile come il sogno a qualsiasi età e come l'utopia di un cinema italiano in live-action pensato per i giovanissimi.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali