Humandroid - la recensione del film di Neill Blomkamp

02 aprile 2015
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Divertente e spettacolare, ma un po' meno originale dei precedenti film il Pinocchio androide del regista sudafricano.

Humandroid - la recensione del film di Neill Blomkamp

Nella Johannesburgh di un prossimo futuro, la sicurezza dei cittadini è assicurata da un esercito di androidi chiamati Scout, prodotti dalla multinazionale Tetravaal e perfettamente programmati a rispondere agli ordini umani e a interagire con i poliziotti che affiancano nelle operazioni. A crearli è stato il giovane e geniale ingegnere Dion, mentre Vincent, un collega più adulto e invidioso del suo successo, aspetta solo l'occasione giusta per proporre in alternativa l'ingombrante Moose, un robot gigantesco e distruttivo comandato da lui con un casco neurale. Di nascosto Dion si dedica allo sviluppo di un'intelligenza artificiale che non sia solo in grado di apprendere ma anche di cambiare e provare sentimenti. Quando Yo-Landi, Ninja e America, tre scalcinati criminali in debito col feroce Hippo, decidono di rapire il creatore degli Scout per convincerlo a “spegnerli”, si trovano inaspettatamente in possesso di un androide ancora bambino a cui devono insegnare tutto, e che Ninja decide di sfruttare per compiere le sue rapine.

Se con l'esordio di District 9 Neill Blomkamp aveva dimostrato una visione originale e profondamente legata al suo vissuto politico-geografico e con Elysium si era concesso un tuffo in una fantascienza distopica più classica ma non per questo meno radicale, al suo terzo film – prima di immergersi nel mondo di Alien – il regista sudafricano si rilassa con la commedia fantascientifica Humandroid, la cui prima idea risale addirittura al 2003 e che ha iniziato a prender forma nel 2010 quando sono stati realizzati i primi test del look del robot visibili nel corto Tetra Vaal, in puro stile District 9.

E' evidente vedendolo che l'operoso regista si è molto divertito a realizzare Humandroid, una palestra che gli ha concesso di allenarsi prima di affrontare un progetto concettualmente e produttivamente più impegnativo. Questo crediamo sia il motivo dietro un'opera gradevole, ricca e visivamente immaginativa ma meno coesa e originale del solito: una sensazione di scollamento che deriva dal fatto che stavolta Blomkamp ha innestato gli elementi viscerali del suo cinema in una produzione da 50 milioni di dollari che non possiede, nonostante sia girata a Johannesburgh, la grezza immediatezza di District 9 ma se ne distacca per avvicinarsi – fatte le debite proporzioni – a un modello (leggermente) più americano.

La musica di Hans Zimmer, la presenza nel ruolo dell'antagonista di Hugh Jackman in versione bullo australiano e quella di Sigourney Weaver nel piccolissimo e stereotipato ruolo dello spietato industriale che guarda solo al profitto non si innestano naturalmente nel corpo di Humandroid, come facevano invece i volti/corpi di Matt Damon e Jodie Foster in Elysium, ma contribuiscono loro malgrado a dare al film un effetto di “normalizzazione”. I veri protagonisti stavolta sono altri: l'invisibile Sharlto Copley, che ha offerto una grande performance fisica, dando credibilità umana a Chappie, l'ottimo Dev Patel e soprattutto duo rap sudafricano Die Antwoord, formato da Ninja e Yo-Landi Vi$$er, nel ruolo dei genitori adottivi del robot ragazzino, che al loro debutto cinematografico recitano i personaggi che abbiamo conosciuto nei loro video, portando al film colori, musica, azione, ironia e sentimento. La piccola Yo-Landi con la sua vocetta da bambina è il genitore buono, Mami, mentre il tatuato e rozzo Ninja è il padre macho e sfruttatore. Sono le loro scene con questo figlio metallico da educare con pazienza e tenerezza o da sfruttare e ingannare, il cuore del film e la sua parte migliore, che ne fanno una versione blomkampiana di Pinocchio.

Humandroid è inoltre un omaggio a un film molto amato dal regista, RoboCop, che lo richiama più volte, anche in un bel finale che è una citazione al contrario della premessa del film di Verhoeven. Se il tenero Chappie è costruito in titanio e quindi indistruttibile ha però come un replicante una data di scadenza, nel suo caso colpa di una batteria difettosa fusa nel suo corpo metallico destinato alla rottamazione e recuperato da Dion per il suo esperimento. E' toccante il momento in cui questo androide intelligente si interroga su cosa sia la coscienza (o anima) e se la si possa trasferire altrove quando il corpo, vuoto involucro, smette di funzionare.

Nella confezione di questo giocattolo intelligente vengono sfiorati anche temi importanti come i rapporti genitori/figli, il libero arbitrio, l'etica della scienza e i progressi della robotica, ma manca l'afflato sociale che animava i primi film del regista. Spettacolari come al solito le scene d'azione, rappresentate con un realismo che riesce a farci sospendere l'incredulità, a partire dall’indovinato design di Chappie col particolare delle orecchie che aggiungono espressività a un volto in apparenza incapace di mostrare emozioni.

Pur con qualche perplessitò, prima di definire Humandroid un passo indietro nella carriera di questo appassionato e creativo regista che ama la fantascienza più di ogni altra cosa, ci penseremmo comunque due volte. Lo consideriamo più una rassicurante opera di passaggio prima di approdare a un mondo di mostri e meraviglie che richiede una visione molto più dark e più classica di quella a cui Blomkamp ci ha abituato finora. Se con Humandroid, insomma, ha giocato in casa ridimensionando le proprie ambizioni, ora lo attende la prova molto più impegnativa di lasciare la sua impronta sull'incubo chiamato Alien.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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