Settembre e il risveglio per uscire dalla bolla di solitudine
Generazioni diverse alle prese con una comune solitudine e insoddisfazione, in cerca di un risveglio in un Settembre come tanti. Incontro con Giulia Louise Steigerwalt all’opera prima da regista e i protagonisti Barbara Ronchi, Thony e Fabrizio Bentivoglio.

Tre solitudini, tre vite sopite in una bolla, molto lontane dalla vita che avevano sognato. Autunnale come il titolo, Settembre, con il suo equilibrio fra commedia e risvegli drammatici, è l’esordio alla regia di Giulia Louise Steigerwalt, prima attrice poi sceneggiatrice e ora il passaggio dietro la macchina da presa in un film, in uscita il 5 maggio per 01 Distribution, che le somiglia, giocato su toni inusuali e interpreti ben diretti e ancora prima ben scelti.
“Il mio genere preferito è quello che mescola dramma e commedia”, ha dichiarato in un incontro con la stampa la regista. “Penso che se dosati e trattenuti questi due estremi possano risultare ancora più efficaci, che in generale l’emotività di una storia possa arrivare ancora di più. Per me l’ideale, in qualsiasi forma narrativa, è raccontare cose importanti anche solo a livello personale bilanciate con un buon senso dell’umorismo. Mi piacere offrire punto di vista che possa sorprendere su qualcosa che penso sulla realtà. Mi piace anche da spettatrice. Ci sono piccole situazioni che possono essere vissute come drammi. Stare con te stessa può essere molto sano, ma se diventa mancanza di comunicazione allora è solitudine pericolosa.”
Settembre è stato prima un cortometraggio, anche se, come ricorda la Steigerwalt, “era estrapolato dalla sceneggiatura del lungo che già esisteva, ma prima, anche con la produzione, abbiamo deciso che era meglio per me misurarmi con la regia di un corto. Per me è un percorso iniziato tanto tempo fa, non sapevo che sarei arrivata dietro la macchina da presa. Mentre scrivevo, dopo la recitazione e con studio e lavoro i tasselli si sono messi al loro posto e mi hanno portato sul set di un film. Un percorso che ho trovato necessario”.
Il film racconta di Maria (Margherita Rebeggiani), una ragazza alle prese con un ragazzo che finalmente la nota, e con un compagno di scuola che organizza il loro primo incontro sessuale. Poi c’è Francesca (Barbara Ronchi) che è preoccupata per una delicata visita medica e si avvicina sempre di più alla sua amica Debora (Thony), con cui sta nascendo un rapporto nuovo, che in passato non si era mai concessa. Lo confessa una sera al suo medico, Guglielmo (Fabrizio Bentivoglio), incontrato per caso in un bar, che da quando la moglie l’ha lasciato vive come bloccato in una bolla di apatia, in cui l’unico contatto reale sembra essere quello con una giovanissima prostituta che frequenta regolarmente.
Finalmente presente come merita nel cinema italiano, Barbara Ronchi regala a Francesca una dolcezza e stralunata umanità nel fronteggiare momenti importanti della sua vita. Ricorda come prima della preparazione non abbia mai neanche incontrato Thony, con cui nel film dimostra perfetta intesa. “Merito di chi ci ha scelto, si è magicamente creata un’alchimia, qualcosa che avviene negli incontri più fortunati. Thony è una persona facile da amare, come donna ed essere umano mi sono lasciata travolgere da un sentimento che naturalmente provavo. Mi piace moltissimo la solitudine. Alcune persone la sanno riconoscere e altre non l’hanno mai provata o non sanno che ci sono dentro fino al collo. Pur essendo immersa nel mondo, con una famiglia e il matrimonio, Francesca è sola. Amo tantissimo questo film. Una delle cose che mi ha colpito di più è stata vedere la gentilezza che lo pervade, il fatto che sia un seme che provoca un effetto domino in questo girotondo umano”.
Un rapporto in mutazione, quello di Thony con la solitudine. “Più cresco e meno so stare da sola, mentre da piccola non vedevo l’ora. Mi rendo conto che la subisco e non so trasformarla in un momento di ispirazione o guarigione. Da piccola l’ispirazione la trovi più dentro, crescendo più fuori. Debora non sembra accorgersi della sua solitudine, ha un enorme bisogno di dare attenzione e non si rende conto di non averla forse perché non si vuole abbastanza bene”.
I personaggi maschili sono sicuramente immaturi e colpevolmente distratti, anche se, come dice Fabrizio Bentivoglio, “a me non sembra ci sia crudeltà nella scrittura dei personaggi maschili, che siano raccontati con equilibrio e anche comprensione. È sempre difficile generalizzare, ma noto qualcosa del genere nei miei simili. Una sorta di impreparazione all’invecchiamento come se la nostra generazione non avesse previsto di invecchiare. Anche le altre lo pensano, ma la nostra le batte tutte”.