L'arma dell'inganno che cambiò la guerra: incontro con John Madden e la sua Operazione Mincemeat
Un'operazione pionieristica e cruciale per le sorti della Seconda guerra mondiale. Un inganno nato nelle stanze dell'intelligence britannica, l'Operazione Mincemeat, raccontata ora da John Madden ne L'arma dell'inganno, di cui ci ha parlato in un’intervista in occasione della prima italiana al Bari Film Festival.

Spiare dal buco della serratura. Una definizione che viene in mente, vedendo L’arma dell’inganno - Operazione Mincemeat, e parlando con il regista, l’esperto John Madden. Il suo film più noto rimane senz’altro Shakespeare in Love, con le sue sorprendenti 13 nomination agli Oscar e più recentemente la “saga” di Marigold Hotel. Questa volta si è cimentato in una storia di spionaggio, racconto su grande schermo di una tappa cruciale della disinformazione durante la Seconda guerra mondiale.
Con la speranza di cambiare il corso della Seconda Guerra Mondiale, nel 1943, e salvare decine di migliaia di vite, due ufficiali dell’intelligence, Ewen Montagu (Colin Firth) e Charles Cholmondeley (Matthew Macfadyen) studiano un piano per convincere i tedeschi di uno sbarco in Grecia, non in Sicilia come effettivamente previsto. Il tutto utilizzando il più improbabile degli agenti segreti: un uomo morto.
“Non avremmo mai immaginato che sarebbe uscito in questo periodo di guerra in Ucraina”, mette subito le mani avanti Madden, incontrando la stampa italiana in occasione della presentazione del film al Bari Film Festival. “Con Colin Firth siamo amici e, letteralmente, vicini. Dopo vari tentativi di tornare a lavorare insieme, dopo tanto tempo da Shakespeare in Love. Questa storia era quella giusta. È un formidabile personaggio il suo, un consigliere del re che in realtà è un agente dell’intelligence, determinato a lasciarsi alle spalle le aule di tribunale per impegnarsi direttamente nella guerra, non potendo andare al fronte. Una vicenda complessa e interessante e Colin è un attore che si mette sempre al servizio del materiale, se si fida del regista. È stato un film molto divertente da realizzare, con Matthew Macfayden hanno lavorato in sintonia per costruire insieme il rapporto fra i loro due personaggi”.
L’arma dell’inganno è stato girato durante la pandemia, anche in Spagna, e montato a distanza, a causa delle restrizioni. “Amo raccontare le storie che non sai dove ti portano, che ti sorprendono perché sono piene di sorprese. Sono uno strumento incredibile, le sorprese, se usate bene e, al contrario della vita, al cinema sono molto piacevoli da vivere. Ma è stato fatto due anni fa, in un contesto molto diverso da quello attuale. L’ultima cosa che volevo fare era promuoverlo sulla scia del conflitto ucraino, che ci paralizza tutti e rende difficile parlare di un film ambientato durante un’altra guerra. Era straordinario poter raccontare le dinamiche di quella che definisco la guerra nascosta, quando nelle stanze di una Londra oscurata si fumava e si decidevano trame sotterranee, con la paura di venire fregati dai nemici, provando a ingannarli. Una responsabilità gravosa per i personaggi coinvolti, oltre che per Churchill, visto che dalla resistenza allo sbarco in Europa sarebbero dipesi i destini dei soldati e di milioni di persone che vivevano l’occupazione nazifascista. Loro per vari motivi non sono al fronte e costruendo una finzione ci si perdono, è molto umano.”
All’interno del Twenty Commitee, responsabile dell’intelligence, delle operazioni di diversioni e controspionaggio, era pieno di scrittori. Uno di questi, come si vede nel film, era Ian Fleming, che si è ispirato alla sua esperienza per creare poi il personaggio letterario di James Bond. Un mondo molto maschile, ma in cui, tiene a precisare Madden, nel suo film si ritagliano un ruolo centrale due donne, Jean Leslie, interpretata da Kelly Macdonald, e Hester Leggett (Penelope Wilton). “Sono al centro dell’universo, nel mio mondo. Tutto ruota attorno a loro nel film, anche se non sembra. Una posizione molto importante fra persone che non si sentivano eroi, questi ultimi erano quelli impegnati al fronte. Per Fleming (nel film l’attore Johnny Flynn) è stato un modo poter sedere nel mezzo della storia. Allora non aveva ancora iniziato a scrivere. È lì che si creò la strategia di disinformazione poi diventata cruciale nel mondo dello spionaggio. Nel film ci sono differenti toni, come la commedia, il dramma, il thriller e ovviamente la spy story.”