Fabi Silvestri Gazzè - Un Passo alla volta: i tre cantautori conquistano il Bif&st 2025 fra musica, intelligenza e ironia
Max Gazzè, Niccolò Fabi e Daniele Silvestri presentano al Bari International Film&Tv Festival il documentario Fabi Silvestri Gazzè - Un Passo alla volta, che racconta la nascita del disco Il Padrone della Festa e il concerto per il decimo anniversario.

A portare la loro musica sul palco del Teatro Petruzzelli di Bari, in una domenica di inizio primavera durante il Bif&st 2025, sono stati tre cantautori che nel 2024 hanno festeggiato il decimo compleanno di un loro disco con un concerto al Circo Massimo di Roma. Il disco si intitola "Il Padrone della Festa" e porta la firma di Niccolò Fabi, Max Gazzè e Daniele Silvestri, che si conoscevano dagli anni '90 e hanno deciso di unire le forze dopo un viaggio in Sud Sudan nel 2013. Il ricordo di quest'esperienza in un paese lontano, la preparazione dell'album, il tour europeo organizzato per promuoverlo e la reunion della scorsa estate sono finiti nel documentario Fabi Silvestri Gazzè - Un Passo alla Volta, che fa parte della selezione del Bari International Film&Tv Festival e che naturalmente abbiamo visto, cantando a squarciagola i brani del trio e dei singoli artisti, nel Multicinema Galleria.
Fabi, Gazzè e Silvestri hanno partecipato al tour promozionale del documentario, incontrando noi giornalisti in trasferta e dimostrando ancora una volta di avere quell'ironia che solo le persone molto intelligenti possiedono e che permette di guardare alla vita esorcizzando le paure e il dolore. Durante una conferenza stampa affollatissima, i tre artisti hanno voluto sottolineare quanto il concerto del 2014 e quello del 2024 costituiscano quasi un unicum nella storia della musica italiana. Il primo a parlare è stato Max Gazzè, che ha spiegato: "Nel documentario non vediamo semplicemente un artista che suona di fronte a tante persone, ma la rappresentazione sul palcoscenico di qualcosa di normale che di solito non viene spettacolarizzato, e cioè 3 persone che si conoscono da 30 anni, che hanno iniziato suonando in un localino di 10 metri quadrati al centro di Roma con la fedina musicale tutto sommato abbastanza pulita e che si sono ritrovati 30 anni dopo, ancora legati da amicizia e con la volontà di condividere un momento di successo. Di solito un artista tende a tenere per sé la gratificazione. Il fatto che noi godiamo della condivisione musicale in maniera sincera è un aspetto che nel film ha un'importanza particolare".
"Un concerto come il nostro è un'esperienza che ti accomuna a quelli che hai accanto" ha aggiunto Daniele Silvestri - "persone che non erano di passaggio e che volevano mostrare di esserci. Tutto ciò non è stato voluto, ma è andata proprio così. Noi tre ovviamente abbiamo partecipato alla realizzazione del documentario, almeno nella fase iniziale, quando bisognava andare a cercare il materiale e capire quale punto di vista si potesse scegliere, però c'è stato un momento preciso in cui abbiamo deciso di prendere le distanze dal film, in modo che il regista e il montatore facessero il loro lavoro di scelta e di montaggio, e quando ci hanno chiamato a vedere il primo montato, che era già metà film, ci siamo resi conto che era un bene che avessero fatto tutto da soli, perché comunque avevano trovato una strada, una via più giusta di quella che avremmo scelto noi".
La musica di Max Gazzè, Daniele Silvestri e Niccolò Fabi ha attraversato i decenni e parla ad ogni fascia di pubblico, ma è molto diversa da quella che sentiamo oggi, che alcuni definiscono in maniera riduttiva "rumore" e che spesso si serve dell'autotune, croce e delizia per il pop, la trap e i neomelodici. Nessuno dei tre cantanti, nel valutare la situazione attuale, dice che "prima si stava meglio", anche perché dietro i volti noti si nascondono tanti talentuosi signor nessuno che invece dovrebbero davvero diventare qualcuno.
"Per me i ragazzi che fanno musica oggi non sono poi così diversi da noi" - dice Max Gazzé. "Sono i tempi ad essere cambiati, e comunque i vari generi musicali si sono sempre intrecciati. A volte si sono scontrati, a volte si sono fusi nel corso del tempo: gli anni '70 sono stati attraversati da conflitti, mentre negli anni '90 c’era l'underground, dopodiché è arrivata la musica pop. Non è facile comprendere ciò che succede esattamente in questo momento. Quello che mi pare di capire è che ci sono tantissimi musicisti, cantautori e cantautrici che stanno cercando di darsi da fare e si dedicano a delle cose molto interessanti. Gli spazi che hanno a disposizione sono diversi rispetto a quelli che avevamo noi, e quindi il rischio è che rimangano a lungo degli emergenti, perché diventa sempre più difficile promuovere quello che fanno. In questo momento, più avanza la musica posticcia e più si delinea un'esigenza naturale di ascoltare cose autentiche. Insomma ogni forma di decadentismo implica un rinascimento, e perciò più le cose vanno in basso, e più scopriamo che ci sono tanti elementi che creano nuovi risorgimenti. Da un punto di vista musicale, sto notando un grande fermento e un ritorno alla verità delle cose, e ciò dipende anche dal fatto che abbiamo a disposizione tantissimi software con cui fare musica. Da un punto di vista tecnologico stanno accadendo cose incredibili, e infatti non riesco a stare al passo con tutti gli aggiornamenti che ci sono. Però mi piace questa attività febbrile e questo pubblico che cerca cose vere".
"Io credo che non ci si possa arrogare il diritto di definire cosa sia autentico e cosa no - interviene Daniele Silvestri - "però è vero che c'è un linguaggio che è totalmente diverso dal nostro, che considera la musica una base. Per noi è un concetto lontanissimo, ma ha magari oggi ha una sua giustificazione. Detto ciò, se c'è stato qualcosa di vanaglorioso nel nostro approccio a quel concerto, consisteva nel desiderio di mostrare a qualcuno, ad esempio a una generazione molto diversa dalla nostra, che quel modo di pensare la musica e di condividere lo spazio con gli strumenti in mano alla fine paga, ha un senso, comunica qualcosa che forse è molto più vitale di ciò che l'omologazione ci insegna".
Anche Niccolò Fabi ci tiene a condividere il suo parere sulla scena musicale odierna. Nel documentario il cantante racconta i suoi gloriosi inizi e il pregiudizio di cui è stato vittima perché abita ai Parioli (a Roma) e quindi per i più era "un pariolino": "Noi apparteniamo a una generazione che corre il rischio di rapportarsi alla contemporaneità in una maniera pericolosa, nel senso che ci si può dividere tra un atteggiamento nostalgico verso tutto ciò che un tempo era più qualitativo, più intenso e più denso di significati e di valori, e un amore spassionato per la contemporaneità che dovrebbe dimostrare che siamo tre vecchietti al passo con i tempi. Forse la cosa migliore sarebbe stare nel mezzo, che significa riuscire a riconoscere in qualche modo il valore che ha il percorso musicale che abbiamo fatto, che essendo nato prima di Internet ti fa capire quanto sia diverso da un punto di vista della percezione, però è anche vero che viene narrata sempre la parte più visibile della musica giovane, quella che fa più scalpore perché crea un contrasto generazionale, una contrapposizione evidente fra due estremi formali e contenutistici. In realtà la musica è molto più sfaccettata di quanto possiamo pensare e la grande differenza rispetto a prima è che la tecnologia ha dato la possibilità veramente a tutti di esprimersi, e questo è sempre il limite e il vantaggio della democrazia. In genere, nella musica di oggi riconosco un po’ una mancanza del sogno nella scrittura, sento molto un realismo, una narrazione fotografica di quello che osservano i giovani musicisti di oggi molto simile al linguaggio del social network, fatto di testimonianze fotografiche e di commenti molto brevi su ciò che si sta vivendo. Sento meno la follia, l'evocazione di cose diverse e di un mondo differente da quello che invece abbiamo davanti agli occhi".
La storia della canzone è piena di band che dopo anni di idillio si sciolgono perché non si va più d’accordo o si vuole tentare la carriera da solisti. Fra Max Gazzé, Daniele Silvestri e Niccolò Fabi non c'è mai stata della ruggine, anche perché ciascuno ha una sua identità ben precisa. A spiegarlo alla stampa durante la seconda giornata del Bif&st 2025 è stato Niccolò Fabi: "Credo che il nostro sia un caso abbastanza speciale, non tanto dal punto di vista della qualità artistica, su cui non mi posso pronunciare, quanto per la naturale complementarietà dei nostri caratteri e del nostro linguaggio artistico. Anche se abbiamo dei temi comuni, ognuno di noi occupa una parte che l'altro non desidera occupare, e quindi il quadro che ne viene fuori è un quadro composito, proprio perché ciascuno di noi ha la possibilità di raccontarne una sfumatura speciale che l’altro non racconta. Noi siamo molto poco cantanti, nel senso che nessuno di noi ha la psicologia del cantante, che deve occupare il centro della scena. Noi nasciamo con il desiderio di fare musica insieme e quindi, quando per esempio Max canta i suoi pezzi, non mi capita di stare da una parte e pensare: Madonna, ma quando finisce così canto io? Io mi diverto molto di più a suonare i suoi pezzi che a fare i miei, perché non vivo il momento del canto come il momento che giustifica la mia presenza in questo mondo e che mi gratifica. Mi gratifica invece il fatto di poter condividere con gli altri le mie canzoni, perché so che loro sono testimoni di un mio racconto, e quando mi giro, cerco in loro un riscontro sul fatto che quello di cui sto narrando è una cosa vera".
Diretto da Francesco Cordio, Fabi Silvestri Gazzè - Un passo alla volta conquisterà le sale il 7 di aprile distribuito da Fandango, che produce in associazione con OTR Live, in collaborazione con Rai Documentari.