Abigail Disney richiama il CEO Disney Bob Iger ai valori originali della casa
Abigail Disney, nipote di Roy Disney, con Walt cofondatore dell'azienda 100 anni fa, non lavora per la casa e si occupa da anni di documentari a sfondo sociale. Rolling Stone l'ha intervistata e ha qualcosa da dire sulla gestione del CEO Bob Iger.
Chi è Abigail Disney? È una regista di documentari a sfondo sociale, tra cui The American Dream and Other Fairy Tales ("Il sogno americano e altre fiabe"). Pronipote di Walt e nipote di Roy O. Disney, cofondatori della Disney un secolo fa, è la figlia di Roy Edward Disney, passato a miglior vita nel 2009 e artefice di ben due salvataggi dell'azienda, nel 1984 e nel 2005. L'attuale CEO della Disney, Bob Iger, ha avuto parole dure contro gli scioperi in corso degli sceneggiatori e degli attori, anche perché arrivano in un momento di difficoltà economica generale dell'azienda. Secondo Abigail, intervistata da Rolling Stone, sta reagendo nella maniera peggiore.
[Foto di Abigail Disney da Wikimedia Commons]
Abigail Disney: "Bisogna ripensare cos'è una corporation e perché esiste"
Abigail Disney parla per i lavoratori, che ha sempre raccontato nel suo lavoro di documentarista, ma tradisce una certa rabbia per il presente e il futuro dell'azienda che porta il suo cognome. Suo padre Roy Edward Disney, facendo pressioni sul consiglio di amministrazione, riuscì a organizzare campagne per evitare due volte scalate azionarie che avrebbero scorporato la casa, fondata nel 1923 da suo padre Roy Oliver Disney e dal fratello Walt Disney. Le recenti dichiarazioni del CEO Disney Bob Iger sugli scioperi, "poco realistici" e "disturbanti", non le sono andate a genio. Ecco uno stralcio dall'intervista:
Mio nonno [Roy Oliver Disney, ndr] divenne un uomo molto ricco grazie alla Disney, ma mia nonna mi ha raccontato storie di come, quando portò mio padre a casa dall'ospedale [Roy Edward Disney, appena nato], non sapevano con quali soldi si sarebbero pagati il prossimo pasto. Era il 1930, e la Disney era già una compagnia di buon successo, ma ogni successo che ottenevano era reinvestito nella compagnia. Credo che il rischio dovrebbe essere riconosciuto, ma dov'era il rischio che si è preso Bob Iger, uno che ha scalato il management da impiegato a capo? Non penso che sappia cosa significhi non sapere dove troverai i soldi per mangiare. E non lo so nemmeno io. Ma conosco l'esperienza dei miei nonni, e quanto si misero in gioco per la loro attività. Un CEO dovrebbe essere il capitano di una nave. Se vuoi quel lavoro e l'uniforme scintillante, devi accettare cosa comporta. E se hai 65 milioni di dollari in tasca, e ci sono persone nella compagnia che hanno difficoltà a mettere il cibo in tavola, non dovrebbe andarti bene. Non dovresti dormire sereno la notte. Io un giorno mi sono svegliata e ho realizzato che, solo per esser nata fortunata, avevo molto più di chiunque altro. E non credo di aver dormito più bene dopo averlo capito.
Chi ha buona memoria ricorderà che Walt e Roy affrontarono uno sciopero di parte delle loro maestranze nel 1941 per quattro mesi, quando non era scontato riconoscere i sindacati, nello specifico quello degli animatori. Le ore piccole richieste per film come Biancaneve e i sette nani, condivise comunque dagli stessi Walt e Roy, proprio per quella tendenza a reinvestire tutto non riconoscendo bonus o alzando i salari, generarono un braccio di ferro dopo il quale Walt capitolò. Conflitti di questo tipo dunque ci sono sempre stati, ma era senz'altro vera la frase "Non faccio film per fare soldi, faccio soldi per fare film", attribuita proprio a Walt Disney. C'è conflitto anche ora, ma non arriva dal superlavoro non riconosciuto in nome della creatività. Come fa capire Abigail, arriva da una ricerca del profitto per pochi.
Quello che voglio io non è quello che leggerete nel Wall Street Journal. Penso davvero che sia il caso per il mondo degli affari di reimmaginare cosa sia una corporation, perché esista. Se dobbiamo pensarci come un mucchio di aziende che danno alle persone da vivere, dobbiamo ripensare il modo in cui creiamo le loro paghe. Dobbiamo mettere in dubbio l'idea che il capitale appartenga solo ai proprietari, quando non possiamo ottenere alcunché senza i lavoratori. Il nostro capitalismo è sbagliato, e ci ucciderà se non lo ripensiamo.