40 anni di minifig LEGO, tra cinema, animazione e videogiochi
Nel 1978 veniva distribuita la prima minifig: era un sorridente agente di polizia.

"Minifig", abbreviazione di "mini figure", indica nel mondo delle costruzioni LEGO quello che in modo meno professionale chiamavamo da piccoli "omino LEGO", maschio o femmina che fosse o potesse diventare. Oggi le minifig, nate 40 anni fa, sono un fenomeno di costume trasversale, giocattolo e oggetto da collezione, a cui sono dedicate serie tv, videogiochi e lungometraggi come The Lego Movie 2 in uscita nel 2019.
Le costruzioni LEGO così come le conosciamo esistevano dal 1958, anno in cui il fondatore dell'azienda Ole Kirk Kristiansen era morto e aveva lasciato le redini al figlio Godtfred Kristiansen. Il nome "LEGO" era un quasi-acronimo di "leg godt", "gioca bene" in danese. Le minifig in sè, tuttavia, erano cominciate ad affiorare solo intorno al 1975, in una forma meno articolata e definita, senza espressioni, senza arti superiori e con rigidi arti inferiori. Nei tre anni successivi furono esplorati altri progetti per migliorarle, e nel 1978 finalmente giunse sugli scaffali il modello n.600, un poliziotto con autopattuglia (non abitabile!). La divisa era ancora una decalcolmania da incollare sul torso, ma c'eravamo: tra accessori e pezzi speciali, le minifig articolate, con gambe slegate e mani prensili, sarebbero comunque rimaste fondamentalmente le stesse fino ai giorni nostri. Unica traumatica modifica: a partire dal 1989, la serie dedicata ai Pirati ruppe il tabù di quell'espressione statica generica sorridente, introducendo emozioni differenti. A posteriori, l'idea che un malato su una barella o un malvivente appena arrestato continuassero imperterriti a sorridere era una dichiarazione poetica di sereno ordine cosmico.
Siamo comunque su un sito dedicato all'audiovisivo, quindi ci poniamo la domanda: qual è il legame tra le minifig e l'immagine in movimento? Le cronache ci dicono che quello tra la LEGO in generale e l'animazione in stop-motion nacque prima delle minifig, con un film amatoriale in pellicola danese del 1973 intitolato "Journey to the Moon". Non c'è da sorprendersi, perché le ridotte dimensioni dei pezzi LEGO e la loro sensibile articolazione si prestano da sempre a una stop-motion casalinga aperta potenzialmente a tutti: non richiede manualità particolare per creare i modelli, e la natura della LEGO garantisce un'allegria primaria, infantile, che ammorbidisce le approssimazioni tecniche. L'accessibilità cinematografica della LEGO è però rimasta piuttosto inespressa nella lunga epoca dei video analogici, tra la metà degli anni Ottanta ai primi Duemila. Scattare singoli fotogrammi e metterli in sequenza era naturale con la pellicola, praticamente impossibile con i video analogici, ma è tornato comodo e pratico con la manipolazione digitale dell'immagine.
La LEGO ha colto il fenomeno, prima ancora che YouTube diventasse il canale "televisivo" più seguito al mondo, aprendo nel 2000 il sito brickfilms.com. Il brickfilm è appunto un cortometraggio animato in stop-motion con LEGO e minifig (chi scrive si è cimentato lui stesso nella tecnica). La sterminata quantità di filmati che cominciarono ad arrivare e continuano ad arrivare ha avuto due effetti. Prima di tutto ha cementato linguisticamente il legame tra la LEGO e l'animazione, prima frequentata di rado (nel 1987 era stata prodotta una timida serie tv sui set Fabuland). In secondo luogo ha iniziato ad allargare il bacino d'utenza del marchio, appetibile non più solo ai bambini, ma anche ai più grandi, per tendenza hipster o mera nostalgia.
Dal 2002 molto è cambiato nel mondo LEGO. Il franchise è sopravvissuto con gli accordi di licenza: Star Wars, Indiana Jones, i supereroi DC, Scooby Doo e similari. Una metamorfosi commerciale e artistica. I set di costruzioni così impostati sono diventati merchandising, giocattoli referenziali pubblicitari con pezzi meno generici e presenti in minor numero all'interno delle confezioni. Contemporaneamente, la LEGO animata in tv e al cinema si è trovata il suo posto nell'immaginario audiovisivo con l'unica strada percorribile: la parodia, il fenomeno di costume di leggera e bonomica irriverenza, cementata da una folta produzione videoludica con le stesse licenze e l'affettuoso lavoro dello studio inglese Traveller's Tales su PC e console, a partire dal 2005. Questo taglio è esploso nel mainstream cinematografico con il primo tentativo di lungometraggio animato ad alto budget, targato Warner Bros, realizzato dall'Animal Logic imitando in CGI la stop-motion dei brickfilm, e diretto dagli irriverenti Phil Lord & Chris Miller, tuttora responsabili del "Lego Universe" per la Warner. Costato 60 milioni di dollari, Lego Movie ne ha incassati nel 2014 ben 470, forse innestando una fiducia finanche eccessiva nelle potenzialità commerciali della LEGO.
Un occhio attento agli incassi si può infatti render conto che i successivi Lego Batman – Il film (2017) e Lego Ninjago – Il film (2017), prodotti con la stessa identica strategia, hanno ottenuto un successo via via inferiore: 311 milioni di dollari il primo, 123 il secondo. Probabilmente, azzardiamo, il caos parodistico esagitato comincia a mostrare la corda, superata l'iniziale sorpresa e riverenza. Se il calo riguardasse soltanto questi exploit cinematografici, potremmo dormire sonni tranquilli: saremo pure tradizionalisti, ma se sopravvivessero le costruzioni, per noi non ci sarebbero molti problemi. Purtroppo nel settembre del 2017 la LEGO ha comunicato un taglio dell'8% della propria forza lavoro, in seguito al primo crollo delle vendite negli ultimi 13 anni. Viene la tentazione di legare il calo degli incassi con il calo dei mattoncini, se pensiamo che ormai è un'ecosistema multimediale a reggere l'azienda. Dove potrebbe essere il problema?
Non siamo così nostalgici da negare che la sinergia tra animazione e mattoncini scatolati abbia avuto anche radici originali, com'è accaduto con i LEGO Bionicle che già salvarono l'azienda dal collasso nei primi Duemila. Proprio quell'exploit potrebbe però far riflettere la catena di comando: l'appoggiarsi sulle licenze, per quanto superficialmente venduto come "taglio LEGO su miti comprovati", sta perdendo fiato. Questa dipendenza potrebbe soffocare la magica autonomia poetica della LEGO, nonché parte della sua identità di giocattolo speciale: se un bambino compra le costruzioni, monta il set con Batman perché ha visto il film e poi lo molla lì, la LEGO vera che ricordano i quarantenni come chi scrive sembra defunta. Basta sfogliare anche l'ultimo catalogo per notare come il mondo Lego originale, quello per esempio della serie "City", sia schiacciato dai marchi e dal merchandising di terze parti. Forse in futuro si potrebbe tentare di risollevarsi con nuovi marchi originali che tornino a offrire ai più piccoli più pezzi standard ricombinabili. Senza per questo negare la creazione parallela di videogiochi o animazione: da lì non si torna indietro e non si deve. Riscoprire però la magia seria, andando al di là della risata e del dileggio demenziali, sarebbe una carta da tentare. Quando ricordiamo i nostri anni Ottanta, il pensiero va a quel Super Espresso (codice set 7745) sul quale non riuscimmo mai a mettere le nostre manine: fluido, veloce, motore a 12 volts, linea aerodinamica. Di parodistico e di comico per un bambino di 10 anni non c'era proprio nulla.