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28 anni dopo: Danny Boyle dice la sua sull'uso del digitale

Il regista inglese ha spiegato quali attrezzature ha utilizzato per girare l'atteso sequel di 28 giorni dopo e soprattutto ha spiegato cosa cercava di ottenere da quei device.

28 anni dopo: Danny Boyle dice la sua sull'uso del digitale

Oltre a essere stato il film che ha cambiato le regole degli zombie-movie, 28 giorni dopo è stato uno dei primi grandi esempi di uno delle tecnologie di ripresa digitale nel cinema. E anche per questo suo sequel, che vede nuovamente coinvolto Anthony Dod Mantle come direttore della fotografia, il regista Danny Boyle ha voluto puntare forte, e in maniera abbastanza drastica, sul digitale.
Per 28 anni dopo Boyle e Dod Mantle hanno utilizzato macchine da presa digitali tradizionali, altre videocamere digitali leggere, droni e tantissimi iPhone, fino a 20 alla volta, montati su speciali strutture costruite appositamente per il film. Ecco come Boyle ha raccontato del suo approccio all'immagine digitale nel corso dell'incontro stampa avvenuto a Roma pochi giorni fa.

Danny Boyle sull'uso degli iPhone e delle videocamere digitali leggere in 28 anni dopo

Abbiamo usato tantissimi iPhone e tante altre videocamere digitali leggere. Volevamo avere un’impronta ridotta, anche per via del fatto che abbiamo girato immersi nella natura. Abbiamo usato molti droni, alcune scene sono state girate interamente con i droni, di modo che la troupe non dovesse nemmeno seguire gli attori, che erano gli unici presenti nella location. Volevamo in collegamento con il primo film, perché è stato il primo film con una grande distribuzione a essere girato interamente in digitale, ma da allora la tecnologia da allora ha fatto passi da gigante. Ogni iPhone, ogni smartphone oggi offre la possibilità di girare in 4K, che è tutta la risoluzione che ti serve per il fare il cinema. Abbiamo affrontato dei problemi, ma ne è valsa la pena. Da un certo punto di vista è stata una sfida per la troupe: un regista può girare un film ogni due anni, le troupe molti di più, e così facendo tendono a diventare un po’ abitudinarie, a utilizzare sempre gli stessi metodi di lavoro. Di fronte a queste nuove tecnologie rimangono un po’ spiazzate, non le amano molto, resistono al cambiamento: ma per me è una cosa buona. Io non cerco la perfezione, cerco le crepe nella perfezione. Certamente, vuoi che il tuo film abbia un aspetto grandioso, ma vuoi anche cercare dei momenti più ruvidi. Come quando verso la fine del film, in una scena in cui deve correre a perdifiato, abbiamo dato in mano a Aaron Taylor-Johnson una piccola videocamera che lo riprendesse, e quasi tutto quel girato era inutilizzabile, ma ci sono alcune immagini di lui in primo piano che sono fortissime e che abbiamo inserito nel montaggio. Non avresti mai potuto fare una cosa del genere con un equipaggiamento tradizionale. Siamo andati alla ricerca di questi glitch, di questi momenti tecnicamente non perfetti ma che fossero capaci di trasmettere le emozioni che stavamo cercando.

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