Pivio e la mission impossible di Diabolik: ecco il musicista che reinterpreta i sogni dei registi
Durante la quindicesima edizione di Creuza de Mà abbiamo avuto il piacere di intervistare il musicista e compositore Pivio, autore insieme ad Aldo De Scalzi di importanti colonne sonore. Con lui abbiamo parlato a lungo di Diabolik, il film dei Manetti con Luca Marinelli.
Noi che il cinema lo frequentiamo e lo amiamo da tanti anni, conosciamo bene Pivio, al secolo Roberto Pischiutta, che insieme ad Aldo De Scalzi ha firmato la colonna sonora di moltissimi film e svariate serie tv. Anche Pivio il cinema lo conosce, perché, quando era bambino, suo padre lo portava nel buio di una sala a vedere uno o più spettacoli al giorno. Pivio vive a Roma ma viene da Genova, una città in cui, nei secoli, si sono mescolate tante lingue, culture e suggestioni diverse, e per questo l'idea di melting pot il nostro ce l’ha scritta nel DNA. Le sue musiche non sono mai uguali le une alle altre, ecco perché i registi lo chiamano, insieme all'inseparabile collega e amico, a dare un'anima in più ai loro lavori, ad accordare insomma la sua arte al linguaggio polifonico di un noir, di una commedia, di un racconto fantascientifico. Fra le sue collaborazioni più proficue e interessanti c'è il sodalizio con i Manetti Bros., avviato con l'Ispettore Coliandro e che ha portato all’attesissimo Diabolik. Del cinecomic con Luca Marinelli, che esce il 16 dicembre ed è uno dei titoli più succosi del 2021, abbiamo parlato con lui durante la quindicesima edizione di Creuza de Mà, il festival di Gianfranco Cabiddu dedicato alla musica e al cinema e che si svolge a Carloforte. Pivio non aveva previsto di consacrare la sua vita artistica ai film, e invece la sorte ha messo sulla sua strada un regista importante. Ma prima sono successe altre cose, come lui stesso ci ha raccontato davanti a uno spritz (ordinato da noi) e a un chinotto, che abbiamo scoperto essere una delle sue bevande preferite, nonché il guilty pleasure degli ingegneri di un tempo…
"Mi interesso di musica da quand’ero piccolo, tant’è vero che avrei dovuto partecipare alla finale di un'edizione dello Zecchino d'Oro, però, a pochi giorni dalle ultime prove, ho avuto un attacco di appendicite e sono dovuto andare in ospedale, e in quel momento la mia carriera di cantante è tramontata. Poi ho comunque continuato a frequentare la musica. Quando avevo 13, 14 anni, giocavo molto con la radio a onde corte, utilizzando gli strani suoni che arrivavano e facendoli passare attraverso cose che io stesso avevo costruito. Dopodiché ci aggiungevo accordi fatti con un Farfisa piuttosto scadente e sperimentavo. Più tardi, in parallelo con gli studi di ingegneria, ho fatto qualcosa di discografico con un gruppo chiamato Scortilla, che in realtà esiste ancora e con cui sono arrivato terzo al Festivalbar nel 1984. A un certo punto, però, il lavoro chiamava, e quindi ho smesso di suonare e di cantare definitivamente. Mi ero specializzato nel printing and publishing, diventando un punto di riferimento europeo. Poi, nel ‘96, quando ero direttore tecnico di El País a Madrid, mi ha telefonato una persona che mi ha detto: "C'è un regista che ti vuole incontrare e che ha avuto l'occasione di sentire attraverso il suo produttore un disco che hai fatto con Aldo De Scalzi". Si trattava di un disco a cavallo fra l'elettronica, il mediterraneo, l’etnico, e il regista era Ferzan Ozpetek. Il film, invece, era Il Bagno Turco. Ci siamo visti, Ferzan mi ha fatto vedere alcune scene e mi ha detto: "Ti interessa? Avete dodici giorni per scrivere la colonna sonora". Noi non avevamo mai fatto colonne sonore, ma io amavo il cinema. Ho chiamato Aldo e lui mi ha detto: "Ma sì, dai, facciamola". Sono andato a Genova e dopo 12 giorni la colonna sonora era pronta. Il film doveva partecipare a Venezia, ma poi non lo hanno preso. Dopo qualche mese ci hanno comunicato che era stato incluso nella programmazione di Cannes, nella Quinzaine des Réalisateurs. Ho preso altri giorni di ferie sono andato al festival, e là c'è stata una specie di apoteosi lisergica, perché mi sono trovato in una posizione che non era la mia e il film ha avuto subito un discreto successo. Rammento la gente che applaudiva… Appena sono salito sull'aereo che mi riportava a Madrid, ho scritto le mie dimissioni.
Che cosa vi ha chiesto di fare esattamente Ferzan Ozpetek per Il Bagno Turco?
Il film l'abbiamo fatto gratis, per noi era un esordio, un meraviglioso gioco che ci era capitato per caso fra le mani. Ci siamo mossi in maniera molto istintiva e abbiamo seguito ciò che Ferzan ci aveva detto di fare, e cioè trovare una modalità che fosse musicalmente caratterizzante della zona in cui è stato girato il film, che è una Istanbul che non esiste più. A questo si doveva aggiungere una formula possibilmente melodica che potesse tornare nei momenti più significativi del film. Con Aldo abbiamo identificato una piccola cellula musicale grazie a una serie di tecniche che avevamo utilizzato negli anni '70. Sentendo un pezzo di musica tradizionale turca alta, abbiamo individuato una cosa che dal punto di vista timbrico ci piaceva e l'abbiamo rovesciata. Così sono venute fuori 4 note che ci sono sembrate interessanti e da lì abbiamo sviluppato tutto il tema del film.
Che posto ha l'autore di colonne sonore nell'economia di un film?
Chi scrive musica per i film è parte di una realtà molto ampia: c'è il regista, c'è il montatore, ci sono gli attori, c'è il produttore, c'è tutto un mondo, e tu fai parte di quel mondo. Inoltre, la musica che realizzi deve raccontare qualcosa: se non racconti niente, allora è inutile. La musica per me è una sorta di attore che aggiunge un elemento che magari si intravede o che viceversa mancava, e che diventa un catalizzatore di emozioni e di sensazioni che possono essere in contrasto con quello che viene raccontato nel film.
Al compositore è richiesta empatia?
Certo. Il compositore a volte deve sviluppare non solo capacità musicali ma perfino relazionali. Il nostro è un lavoro anche di reinterpretazione dei desideri del regista. Sono fidanzamenti quelli che si creano fra autori delle colonne sonore e registi: possono durare molti anni o si interrompono dopo la prima volta che hai fatto l'amore.
Le vostre musiche hanno contribuito a rendere ancora più speciali i film dei Manetti Bros., che sono fra i pochi registi italiani che hanno sempre fatto, e bene, il cinema di genere. A te piace il cinema di genere?
Adoro i film di genere, mi sono sempre piaciuti. Sono cresciuto con i film di genere: il peplum, il poliziotteschi, western, i gialli e così via. Quando abbiamo incontrato per la prima volta i Manetti, è stato in occasione de L'Ispettore Coliandro, e Marco e Antonio ci hanno chiesto da subito di affrontare una specie pilota andando a lavorare sul mondo del poliziottesco, del funky, dell’afro-beat. A quel punto è scattata veramente la molla dell'amore assoluto e peraltro reciproco, e da allora con i Manetti abbiamo fatto, tra film per la tv e film veri e propri, una cinquantina di cose. E ogni volta è stata un’esperienza magica, perché una delle forze dei Manetti è l'essere liberi dalle sovrastrutture.
Com'è il Diabolik di Marco e Antonio Manetti?
Il Diabolik dei Manetti è un Diabolik estremamente rigoroso e aderente al fumetto. Marco e Antonio sono stati molto definitivi, quindi chi vedrà il film si accorgerà di un protagonista molto intrigante. L'idea che le persone hanno dei Manetti è di registi divertiti e divertenti. Il divertimento c'è senz'altro, ma Diabolik nasce come un personaggio violento, cattivo, è veramente un bastardo, e questa è una scelta interessante. Passando alle musiche, ci è stato chiesto di andare nella direzione di una tradizione molto alta: da Bernard Herrmann a Lalo Schifrin, che fanno cose molto diverse. Lalo Schifrin è la parte più funky, Bernard Herrmann è invece il compositore dei film di Hitchcock, e pensando a lui vengono in mente le dissonanze cattive di Psycho. Allora ci siamo lanciati in una sorta di revisione di quel mondo musicale, ma il problema era che avevamo scritto tutto prima dell'avvento del Covid, e quindi pensando di poter contare sull'utilizzo di un’orchestra esagerata. E invece, nel momento in cui dovevamo realizzare ciò che avevamo progettato, ci hanno chiuso, e così siamo rimasti in attesa di poter ripartire, ma ormai la scrittura era nata in quel modo e dovevamo assolutamente portare a termine la nostra mission impossible, che consisteva nel dover costruire un’orchestra senza però poter chiamare un’orchestra vera. Le registrazioni, che normalmente ci avrebbero richiesto 5 o 6 giorni al massimo, sono durate un invece mese, perché abbiamo registrato con un musicista alla volta, e avevamo ben 60 elementi. Per fortuna non ci sono stati problemi tecnici e tutto è andato bene. Comunque, se avessimo affrontato il film durante il lockdown, probabilmente avremmo fatto una colonna sonora totalmente diversa. D'altronde non c'è una musica sola per un film, ce ne sono almeno 100, e magari funzionano tutte.
La recitazione di Luca Marinelli ha influenzato la vostra musica?
Luca è molto Diabolik. Chi ha visto il primo Diabolik, quello di Mario Bava, troverà un antieroe totalmente diverso. Il nostro è un Diabolik serio, quello di Bava era spumeggiante, anche la musica di Ennio Morricone lo era, con la canzone "Deep Down", che volevamo anche inserire a mo’ di omaggio. Nelle scene in cui è presente Luca, siamo stati rigorosi, senza svolazzi strani, perché la sua è una recitazione molto asciutta, determinata, e così anche noi dovevamo essere determinati e asciutti, anche se abbiamo usato un’orchestra grossa, ma lo si può fare strombazzando o andando in punta di piedi e, quando Luca recitava, noi andavamo in punta di piedi. Credo che il risultato finale sia ottimo. Siamo tutti molto contenti, e adesso stiamo lavorando al terzo e al quarto film. Il primo è talmente piaciuto ai produttori, che hanno deciso di andare avanti. Posso anticiparvi che mi sto già divertendo come un pazzo…