Nada a Creuza de Mà: “Siamo tutti esseri eccezionali e io sono ancora la bambina che non voleva cantare”
Ospite d'onore della quindicesima edizione di Creuza de Mà, Nada è tornata a Carloforte per un concerto e per accompagnare il film di Costanza Quatriglio La bambina che non voleva cantare. Ecco la nostra intervista alla cantante.

La quindicesima edizione di Creuza de Mà, il festival dedicato al cinema e alla musica, si è conclusa con la performance canora di una delle voci italiane più amate degli ultimi decenni. Presso i Giardini di Note si è svolto il concerto di Nada, che ha registrato, ça va sans dire, il tutto esaurito, cantando brani noti e meno noti accompagnata da una chitarra. Nada, o meglio Nada Malanima da piccola, è anche la protagonista del film per la tv La bambina che voleva cantare, che è diretto da Costanza Quatriglio e che fa parte della programmazione del festival, che quest'anno ha aperto le porte anche alla serialità televisiva. La bambina che non voleva cantare è tratto dal romanzo autobiografico di Nada "Il mio cuore umano", già diventato un documentario sempre diretto dalla Quatriglio.
Incontriamo Nada all'imbrunire sulla terrazza di un hotel di Carloforte. E’ un po’ di corsa, perché deve fare il soundcheck del suo concerto, ma si ferma volentieri a parlare con noi per un po' di tempo. Ha il viso coperto dalla mascherina, ma i suoi occhi vivaci si vedono eccome e ci colpiscono, così come la sua grinta e la sua anima di ragazza. Per prima cosa ci racconta di un altro suo soggiorno a Creuza de Mà.
“Sono venuta a Creuza de Mà nel 2009 a presentare con Costanza Quatriglio il documentario Il mio cuore umano, che era tratto dal mio libro omonimo. Costanza volle mettersi all'opera immediatamente, perché si era innamorata della mia storia, l'aveva sentita molto sua e le piaceva l'idea di questa bambina che guardava il mondo intorno a sé con occhi disincantati, avvertendo un po’ di solitudine. In realtà Costanza voleva fare subito un film di finzione, ma per una serie di ragioni non riuscì a cominciare, però mi disse: "D'accordo, intanto parliamo della tua storia in un documentario che parta anche dal presente, da ciò che sei e che fai adesso". Ricordo che rimasi un po’ perplessa e che le risposi: "Mah, un documentario… facciamo le corna, sono ancora qui". Di solito si gira un documentario su un artista quando è a fine carriera, quindi avevo qualche dubbio, ma Costanza mi ispirava molta fiducia, perché amava il libro e l'aveva capito, non dico meglio di me, ma quasi. Allora ho deciso di fidarmi. Inoltre era una giovane donna piena di passione. Così abbiamo fatto il documentario e l'ho trovato bellissimo, perché non c'era niente di retorico, di nostalgico. Era solo un racconto molto umano, il racconto di un percorso di vita. Andò in onda su Rai3, poi lo presero al Festival di Locarno e a Creuza de Mà. Mi invitarono a Carloforte e io venni qui, e la cosa incredibile è che, più di 10 anni dopo, Costanza ed io siamo tornate al festival con il film La bambina che non voleva cantare".
Cosa pensa de La bambina che non voleva cantare?
C'è molta delicatezza nel film, una grande sensibilità. Costanza si è avvicinata al libro con cura e rispetto. Non era facile trasformarlo in un film, sintetizzare tutto, perché ci sono tanti personaggi, tante storie, e lei ha dovuto scegliere, e ha scelto il rapporto che la bambina ha con la madre. Costanza si è avvicinata in punta di piedi alla mia storia personale, ed ero sicura che avrebbe fatto un ottimo film. Negli ultimi anni ci siamo frequentate, conosciute sempre meglio, abbiamo parlato. Con La bambina che non voleva cantare ha fatto un lavoro bellissimo, semplice ma profondo.
Nel libro "Il mio cuore umano" lei ha raccontato tante donne forti. In cosa consiste, secondo lei, la forza delle donne?
La nostra forza penso sia il dolore. Noi sappiamo convivere con il dolore, sappiamo riconoscerlo, tenerlo a bada e anche farlo diventare uno stimolo. Trasformare il dolore in qualcosa di positivo ti fa capire tante cose, allarga il tuo sguardo sulla vita. Non voglio lasciar intendere che gli uomini non abbiano questa stessa capacità, però noi donne siamo più brave, e lo dico per via della mia esperienza, per quello che ho vissuto, per ciò che ho visto intorno a me e per come mi sento rispetto alle cose. L'accettazione del dolore è una costante della nostra esistenza, ci fa crescere, capire e amare. E poi, forse, noi donne, a cominciare da quelle che ho raccontato nel libro, abbiamo anche uno spirito di sacrificio. La parola sacrificio è quasi scomparsa, magari viene associata alla religione, ma è anche altro. Sacrificio significa fare qualcosa per qualcuno che si ama. Sacrificare qualcosa di noi stessi per gli altri e rinunciare è per me una cosa molto importante, e fin da piccola ho visto tante donne che si sacrificavano, ma non ne sentivano la fatica, lo sforzo. Per loro era un puro atto d'amore.
Cosa è rimasto in Nada della bambina di cui parla il film?
Ho riletto il libro dopo tanto tempo e l'ho riletto prima del film, e appena l'ho finito, ho detto all'editore, che poi è un amico: "Ma sì, sono ancora quella bambina là". Ho risentito, leggendo, le voci delle persone che hanno popolato la mia infanzia, mi sono rivista. E’ una cosa che fa un po’ impressione, perché adesso sono grande, però non è una questione solo di età, ma di modo di rapportarsi alle cose. Adesso ho più esperienze alle spalle, ho visto tante cose, però certe sensazioni le provo ancora, quindi sì, sono ancora la Nada bambina.
L'artista è per definizione un creativo. Lei crede che tutti possiamo in qualche modo esserlo?
Penso che siamo tutti creativi, io sono fortunata perché ho la possibilità di esprimermi e di raccontarmi attraverso la musica, ma credo che ogni persona, anche chi fa una cosa semplice, per esempio chi cuce un abito, chi fa un piatto, è creativo. La creatività ha a che fare con la nostra passione per le cose. Mi sento privilegiata perché ho avuto la possibilità di fare quello che faccio, però la mia arte non è una cosa così eccezionale: tutti siamo esseri eccezionali e ogni cosa che facciamo è una creazione per noi stessi e per gli altri. Insomma, io non mi sento su un piedistallo, anche se ho la fortuna di vedere la reazione degli altri a ciò che creo, ed è una sensazione meravigliosa.
Le sue canzoni hanno impreziosito le colonne sonore di tanti film e il brano “Senza un perché” è stato utilizzato da Paolo Sorrentino in The Young Pope. E’ facile immaginare la gioia…
Sono i registi che scelgono le mie canzoni, non sono io che vado a cercare i registi. Mi sento sempre onorata e devo riconoscere che le mie canzoni sono state abbastanza usate nel cinema. E la soddisfazione più grande è stata essere nel film di Sorrentino, perché Paolo ha voluto una mia canzone che non era diventata famosa. Lui ha capito l'essenza di quella canzone, la sua capacità di comunicare nonostante la semplicità. E’ grazie a Paolo che la gente ha conosciuto "Senza un perché". Gli sono grata, anche se lui ha detto che mi ringrazia per ciò che ho scritto. Mi ha detto: “Sapevo che sarebbe stata un successo". Forse le mie cose hanno bisogno di sedimentare. Adesso però vorrei accelerare un po’.
E’ vero che lei da bambina ha frequentato una scuola di recitazione?
Ho fatto tante cose quando ero bambina, per esempio teatro. Mi piaceva il teatro, e mi è sempre piaciuto raccontare. Oltre alla musica, amo le parole. Man mano che fai questo lavoro, scopri cose sempre nuove, poi a me piace sperimentare in continuazione. Sono anche capace di tirarmi indietro, se capisco che una cosa è meglio evitarla, però adoro mettermi alla prova.
Lei ha attraversato diversi generi musicali. SI sente più vicina al pop o alla canzone d'autore?
Una musica quando è bella è bella, poi uno la chiama pop, un altro rock, un altro ancora canzone d'autore. Sono tutte cose che si dicono solo per il piacere di dare una definizione. Per me tutti i generi hanno cose valide e non valide. Per me la musica è universale, ha tante espressioni, tanti modi di comunicare. Ho attraversato tanti anni e ho sempre scoperto cose diverse, mi sono sempre cimentata in una varietà di generi, finché poi ho cominciato a scrivere, e quella è stata per me la svolta. Scrivo le parole, scrivo la musica anche se non sono una musicista nel senso più stretto del termine, e suono quel tanto che mi serve per esprimermi, per raccontare. Adesso ho trovato una dimensione precisa, che è la dimensione di Nada.