The Foreigner: la recensione
Un insolito Jackie Chan e il bravo Pierce Brosnan protagonisti di un thriller d'azione molto classico, diretto con mano ferma e precisa da Martin Cambell. La recensione di The Foreigner di Federico Gironi.
Martin Campbell non è un Autore, va bene, ma è un regista che in carriera ha firmato film come Fuga da Absolom, il primo 007 interpretato da Pierce Brosnan, Goldeneye, La maschera di Zorro e il suo sequel, e perfino il primo Bond Movie dell’era Daniel Craig, Casino Royale.
È un signore che, arrivato dalla Nuova Zelanda, si è imposto a Hollywood come erede di quella schiera di solidissimi mestieranti che hanno rappresentato la spina dorsale dell’industria cinematografica americana tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta (gente come Peter Hyams, Herbert Ross, John Badham, Norman Jewison), e che è stato capace perfino di superare (quasi) indenne quel pasticcio terribile che fu il Lanterna Verde con Ryan Reynolds.
Dopo quel disastroso cinecomic, infatti, Campbell ha pensato bene di tornare a operare in terreni a lui più consoni e conosciuti, dirigendo nel 2017 un thriller d’azione (nemmeno troppa) solido, preciso e lineare come The Foreigner.
La trama, basata su un romanzo di Stephen Leather adattato da David Marconi, è semplice e intricata al tempo stesso.
Semplice perché è la storia di vendetta: quella di un uomo che decide di vendicare la morte della figlia, avvenuta in un attentato dinamitardo di una cellula impazzita dell’IRA al centro di Londra, e che per questo si mette alle calcagna di un politico irlandese che ha un passato da militante nell’Esercito Repubblicano Irlandese.
Intricata - ma poi non troppo - nel giro di giochi e doppi giochi che coinvolgono il politico e i suoi ex amici e alleati, le finalità degli attentati e i loro reali mandanti.
Fatto sta che Campbell la gestisce benissimo, senza banalizzare né lanciarsi in inutili circonvoluzioni o elucubrazioni di stampo politico, ma rimanendo attento alle sfumature e tenendo sempre preciso in mente il suo obiettivo: quello di girare un film di genere, un prodotto capace di tenere alta l’attenzione dello spettatore, senza sottovalutarlo, o cercare di conquistarlo con facili giochetti pirotecnici.
A dare man forte a Campbell, ci sono i suoi due ottimi attori protagonisti: un Jackie Chan inedito, silenzioso, carico di pathos e di dolore, ma non per questo meno letale quando serve, capace di passare credibilmente da padre devastato dal dolore a una specie di Rambo meno paranoide (un occhio un po' calato a-la-Stallone aiuta nell'identificazione più della cauterizzazione di una ferita nel profondo di un bosco); e un Pierce Brosnan che mette da parte ogni residuo bondiano, e il sorriso smagliante e ironico di Mamma mia!, per raccontare con efficacia la rabbia e la disperazione di un uomo braccato ma che si è messo nell’angolo da solo.
E il resto del cast, decisamente meno noto ma non per questo meno valido (un nome su tutti: quello di Orla Brady, attrice irlandese che interpreta con sfumature quasi shakespeariane la moglie di Brosnan), è un perfetto sistema di supporto all’architettura generale del film e del suo racconto, che è capace di essere cupo, ruvido e violento ma senza mai nulla di gratuito o di compiaciuto.
The Foreigner non sarà un capolavoro, né un film indimenticabile magari.
È però uno di quei film nel quale il mestiere e la professionalità fanno capolino in ogni scena e in ogni dettaglio, dove la cura e la serietà con la quale si affrontano gli aspetti visivi e narrativi del film assicurano un risultato pulito, preciso ed essenziale. Un film che va dritto al punto, con la stessa quieta e implacabile determinazione del personaggio di Chan, anche quando deve raccontare i dilemmi, le ambiguità e le ombre di quello di Brosnan.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival