Richard Jewell, la recensione

14 gennaio 2020
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Clint Eastwood continua a ragionare sull'America di oggi, sull'agire delle persone, e su un mondo che - con tutta evidenza - trova sempre più ingiusto.

Richard Jewell, la recensione

Il capitano Chesley Sullenberger interpretato da Tom Hanks in Sully salvava la vita a 155 persone grazie alla sua abilità di pilota; eppure, veniva messo processo, e accusato di aver compiuto una manovra pericolosa e eterodossa rispetto alle procedure standard.
Al Richard Jewell del film omonimo, che ha il volto e il corpo di Paul Walter Hauser, va pure peggio: dopo aver sventato, almeno in parte, l'attentato al Centennial Olympic Park durante le Olimpiadi di Atlanta nel 1996, riducendo drasticamente il bilancio di quella che avrebbe potuto essere una strage, si vede accusato di essere lui stesso il folle attentatore.
Se allora ci si poteva concentrare soprattutto sulla contrapposizione tra fattore umano e dogmatismo tecnocratico, e ancora di più sull'epica e l'etica dell'agire secondo coscienza, nel tentativo di fare al meglio il proprio dovere, qui le cose sono cambiate. Anche il Richard di questo film è uno che vuole fare al meglio - a volte anche con eccesso di zelo - il suo lavoro, ma come e più di Sully è prima di tutto una vittima di un mondo sempre più ottuso, pigro, sensazionalista, aggressivo e violento.
Un mondo ingiusto, come chiaramente appare agli occhi del quasi novantenne Eastwood: come quello che costringe un anziano signore a diventare un corriere della droga per campare.

Lì, in The Mule, il borbottare di Eastwood contro la contemporaneità era rivolto, in superficie, soprattutto ai cellulari e a internet. Qui sotto accusa ci sono i media, e quell'attitudine sciacalla che poi oggi si è riversata sui social di fare gogne e processi pubblici.
E sotto accusa, qui, c'è anche l'America stessa, il suo governo; un'America che - sembra dire Eastwood - ha smesso di incarnare i suoi veri valori, tradendoli, e che preferisce seguire ottusamente le piste più facili, invece che perseguire la verità e la giustizia. Perché il potere può trasformare in mostri, come viene detto a Richard all'inizio del film.
Come già in Ore 15:17 - Attacco al treno, l'America che Eastwood ama e che trionfa è quella magari goffa, sempliciotta, ingenua e grossolana,  a tratti perfino ottusa, ma alla fine buona e candida. Quella incarnata da Jewell in maniera magari fin troppo ideale e idealista, ma che è l'unica - con la sua naturale e istintiva propensione al bene - capace di arginare la terribile deriva dei nostri tempi.
Tutto questo rende senza dubbio Richard Jewell un film di Clint Eastwood a tutti gli effetti, l'ennesimo tassello di un discorso etico e poetico che l'americano sta portando avanti da anni con rigore e ostinazione.
È anche vero, però, che nel film si sente chiara la firma dello sceneggiatore Billy Ray: del Billy Ray migliore, quello de L'inventore di favole, di Breach e di Captain Phillips, più che di tanti altri blockbuster più o meno spettacolari.

La stanchezza che Eastwood esibiva mettendo in scena il suo corpo in The Mule, qui trapela in una gestione della regia un po' altalenante, che più volte scivola in maniera un po' troppo evidente nel meccanicismo, e altre si dimostra proprio un po' impacciata, ma che è poi è sempre capace del guizzo, del momento esemplare e cristallino di essenzialità e forza cinematografica.
A dare vita a personaggi del film tutti - anche quelli negativi, come l'agente dell'FBI di Jon Hamm, o la giornalista senza scrupoli a-la-Barbara Stanwick di Olivia Wilde (che però alla fine si ravvede, in maniera un po' retorica e improbabile) - dotati di una forte carica di umanità, un cast di ottimo livello: il protagonista Hauser, l'avvocato Sam Rockwell (che in ufficio ha attaccato a un quadro l'adesivo che recita "I fear government more than I fear terrorists"), la mamma candidata all'Oscar Kathy Bates. Ma da non sottovalutare, tra tutti, è Nina Arianda, bravissima nei panni di un personaggio scritto altrettanto bene, quello della segretaria e non solo dell'avvocato di Rockwell.
Clint, lui, non c'è. E la sua assenza si fa notare. Ma alla sua età, gliela possiamo tranquillamente perdonare.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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