Le strade del male: recensione del film Netflix
Robert Pattinson, Tom Holland, Riley Keough, Bill Skarsgård e tanti altri sono i protagonisti di un ambizioso e violento southern gothic scritto e diretto da Antonio Campos.
Alla morte e alla violenza, e la sua rappresentazione (cinematografica o meno) Antonio Campos è sempre stato interessato.
Afterschool, presentato a Cannes, parlava dell’ossessione di un ragazzo per il video realizzato accidentalmente di due compagne di scuola che morivano per overdose. L'ottimo Christine, con Rebecca Hall brava e intensa protagonista, portava al cinema la storia vera di Christine Chubbuck e del suo celebre suicidio in diretta tv.
In Le strade del male del rapporto tra morte e immagine si parla esplicitamente nella sottotrama legata ai personaggi di Jason Clarke e Riley Keough, con lui serial killer che fotografa le sue vittime in atteggiamenti intimi con lei, ma è tutto il film, tratto da un romanzo di Donald Ray Pollock, a rappresentare un implicito ragionamento sull’immagine cinematografica in relazione con la rappresentazione della morte e della violenza.
Ambientato tra gli anni Cinquanta e i Sessanta in due cittadine sperdute nel profondo Sud degli Stati Uniti, Knockemstiff in Ohio e Coal River in West Virginia, Le strade del male parla di una serie di personaggi le cui vite finiscono per incrociarsi in maniera imprevedibile: un reduce della II Guerra Mondiale traumatizzato da un’immagine atroce, suo figlio, i killer amanti del sesso e della fotografia, uno sceriffo corrotto, predicatori folli o dalla moralità più che dubbia e le loro giovani vittime.
A ogni snodo, a ogni incontro, la morte e il sangue sono un denominatore comune, che riecheggia anche in sottofondo, attraverso una guerra rievocata o vissuta daccapo, col Vietnam che arriva dopo il conflitto mondiale e la Corea.
E fin dall’inizio è chiarissimo, nel film di Campos, che morte e sangue fanno il paio, inevitabilmente con una concezione di fede e di Dio ossessiva e perversa, che richiama una Passione inevitabilmente deprivata da ogni afflato mistico e spirituale, e ridotta a puro gesto di tortura.
Allo stesso modo, i suoi personaggi invocano e si prostrano davanti a un Dio che non riconoscono essere solo il Diavolo abilmente mascherato, e suppliscono a quella disperata sete di conforto spirituale che hanno, in mancanza di risposte migliori, con la violenza.
Ambizioso nei temi, nei modi che sembrano andare a tirare in ballo le grandi tradizioni letterarie di Faulkner, e nei tempi (il film dura la bellezza di 2 ore e 18 minuti), Le strade del male, che non a caso in originale s’intitola The Devil All the Time, sembra vivere di un’analoga incapacità di aggrapparsi a qualcosa di più profondo della sua superficie, di catturare e restituire un disagio e una disperazione reali, e non puramente formali.
Campos gira con mestiere, azzecca i volti e i nomi coinvolti nel suo film (oltre a Clarke e Keough, Tom Holland e Bill Skarsgård, i più bravi del lotto, e ancora Robert Pattinson, Haley Bennett e tantissimi altri, tutti più o meno funzionali al ruolo da interpretare), ma non riesce a scalfire la superficie del racconto, limitandosi a mettere in scena sangue e cadaveri con il ritmo disteso e pastoso del racconto del Sud statunitense.
Contrariamente a quanto mostrato in Christine, che tanto era rigoroso nella forma quanto accurato nell’approfondimento psicologico, Le strade del male è un film a due dimensioni, dove l’abilità del racconto e la precisione della messa in scena non smuovono una virgola emotiva, dove la messa in scena della morte e della violenza non è mai sublimata in qualcosa di diverso e più complesso della sua rappresentazione grafica. Riducendosi a una Passione southern senza cuore né anima, che sembra non provare molto nemmeno per i personaggi che racconta.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival