C'era una volta il crimine: recensione del capitolo finale della Trilogia sui viaggi nel tempo
Massimiliano Bruno termina la cosiddetta Trilogia del crimine portando i "ragazzi" del 2022 nel'Italia del '43 e rendendoli protagonisti di avventure rocambolesche ed eroiche. Nella nuova squadra ci sono Giampaolo Morelli e Carolina Crescentini.
Fra omaggio al cinema del passato, avventure funamboliche a suon di colpi di pistola ed esaltazione della scaltrezza e del buon cuore a prescindere dalla data di nascita, continuano le avventure della banda sui generis inventata da Massimiliano Bruno in Non ci resta che il crimine, e se il primo film della serie rammentava, non solo nel titolo, la commedia con Troisi e Benigni Non ci resta che piangere, il sequel Ritorno al crimine era un chiaro e sacrosanto omaggio al "classicone" anni '80 Ritorno al futuro. Nel secondo capitolo, che strizzava l'occhio anche a Gomorra, vista l'incursione nella malavita napoletana, Bruno rifletteva inoltre sul rapporto fra passato e presente, arrivando alla conclusione che il nostro è un tempo bizzarro e disgraziato, un freak show da affrontare con il giusto spirito di corpo e un po' di pelo sullo stomaco.
Nel film che conclude la saga, C’era una volta il crimine, il tema dell'amicizia viene messo un po’ da parte, forse giustamente, e la felice alternanza fra la contemporaneità e l'epoca d'oro della Banda della Magliana lascia il posto a una cavalcata nell'Italia del 1943, dopo favolosi titoli di testa animati e un furto davvero inimmaginabile. Senza il Sebastiano di Alessandro Gassmann e la centralità del Renatino De Pedis di Edoardo Leo, però, cambiano i toni e parte del divertimento - ahinoi - viene meno, anche se la new entry Giampaolo Morelli aggiunge brio al racconto grazie a perfetti tempi comici e irresistibili duetti con Marco Giallini. Eppure, che siano più o meno buffi o seriosi, i dialoghi fra i personaggi della nuova avventura non raggiungono la verve degli scambi di battute dei film precedenti. Ne guadagna, certo, l'azione, e le risate nascono dal confronto fra le camicie nere, che parlano come Corrado Guzzanti in Fascisti su Marte, e i viaggiatori nel tempo, che conoscono la storia e che sono quindi sempre in vantaggio. Sfortunatamente, non c'è nulla di nuovo nella caratterizzazione dei cattivi, alcuni dei quali diventano marionette senz'anima, a cominciare dal Duce, e anche nelle scene con i nazisti non possiamo non riconoscere taverne e spie tarantiniane che, inconsapevolmente, ci spingono a raffronti e classifiche.
Ma non è propriamente Bastardi senza gloria il modello di ispirazione, perché Massimiliano Bruno prende invece spunto dalla commedia all'italiana, che aveva sempre più di una nota amara e la giusta dose di malinconia. Quando ha scritto e girato C'era una volta il crimine, il regista non sapeva, ovviamente, che la Russia avrebbe dichiarato guerra all'Ucraina, ma vedeva intorno a sé anaffettività, indifferenza, egoismo, egocentrismo. Per questo è andato a cercare italiani che fossero migliori di quelli di oggi, forse per via del loro coinvolgimento in prima persona in un conflitto bellico. Introducendo poi i villain reali più villain di sempre (i nasizti), Max Bruno ha avuto l'occasione di trasformare i suoi personaggi, prima furbastri e vigliacchi come tante maschere di Alberto Sordi, in veri e propri eroi , perché oggi, come del resto in quell'epoca balorda, c'è davvero bisogno di coraggio, pietas, spirito di sacrificio e altruismo, che sono poi le caratteristiche degli spiriti nobili.
Non è mai lento o noioso C’era una volta il crimine, ma è come se non riuscisse ad avere una propria identità, e se Non ci resta che il crimine e Ritorno al crimine funzionavano anche senza sequel o prequel, il nuovo film è troppo legato, non tanto agli accadimenti, quanto ai personaggi dei capitoli precedenti, a cui il terzo episodio non aggiunge granché. Moreno (Marco Giallini), per esempio, non è che una figurina sbiadita, sebbene appaia in numerose scene. Giuseppe invece evolve, e stavolta si confronta con l'amore, e dunque, per Gianmarco Tognazzi sono cuori più che "gabbiani" (di cocaina), ma ci si diverte poco. Laddove Bruno sceneggiatore ritrova lo swing è nella caratterizzazione di Adele, che interpreta la nonna di Moreno. Carolina Crescentini la rende dolce e insieme forte, ardimentosa e soprattutto consapevole del ruolo secondario delle donne nell'Italia di quasi metà del Ventesimo Secolo.
E' molto difficile confrontarsi con i vecchi buoni film di una volta, forse perché si trattava di fulgide dimostrazioni di genialità, che poi era la genialità di Monicelli, Risi, Comencini e così via. Ancora più complicato è mescolare a quelle atmosfere il gioco attoriale di chi è legato a una vis comica molto contemporanea, a meno che non si crei tra vecchio e nuovo un perfetto contrappunto. Nobile, certo, è il desiderio di parlare di un momento della nostra storia di cui non dobbiamo mai dimenticarci , ma Bruno ha una fervida immaginazione e una scrittura vivace, arguta, e forse per la banda allargata della Trilogia del crimine sarebbe stato più azzeccato un viaggio nel futuro, o anche in un passato che il cinema ha frequentato ancora poco.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali